Fedez: nel sentiero stretto della censura
di Pierre De Filippo-
Io sono un artista, salgo sul palco e dico quello che voglio e mi assumo la responsabilità di ciò che dico. È un Fedez furente quello che registra la telefonata intercorsa con i vertici Rai prima del concertone del 1° maggio.
“Le sto chiedendo soltanto di adeguarsi ad un sistema…”
C’è un che di gattopardesco in tutto ciò, di endemicamente italico: nel mondo dei media, della condivisione istantanea dovrebbe essere vietato per legge l’uso della parola “sistema”, perché rimanda, inevitabilmente, a qualcosa di losco, di poco chiaro, di opaco, di ambiguo.
Qual è il sistema al quale Fedez dovrebbe adeguarsi?
Essenzialmente, quello in base al quale dal 1954 (o giù di lì) è la politica a sancire la linea editoriale della Rai, la televisione di Stato. Quello che può essere detto e quello che non può essere detto, i messaggi che possono passare e quelli che non possono passare.
Una gran baraonda.
Dopo questo appassionato e un po’ scadente botta e risposta, Fedez è salito sul palco, ha attaccato la Lega e ha espresso posizioni radicalmente favorevoli rispetto all’ormai celeberrimo Ddl Zan, finalmente calendarizzato anche in Senato, dopo che – per mesi – “il sonnecchiante Ostellari” (Presidente della Commissione Giustizia al Senato) aveva cercato in ogni modo di fare ostruzionismo, rinviando il dibattito su questo tema.
Fedez si è poi lanciato in una serie di citazioni di questo e quel assessore, consigliere, parlamentare leghista, pronunciatore di frasi del tipo “se avessi un figlio omosessuale, lo brucerei nel forno”, e via discorrendo.
Dai vertici Rai – per bocca della vicedirettrice di Rai 3 Ilaria Capitani – sono arrivate smentite circa la necessità di “limare” l’intervento dell’artista, per motivi di opportunità e di adeguatezza alle circostanze, circostanza questa che il cantante milanese aveva previsto ed anticipato: “vi faccio vedere che la Rai scaricherà le colpe sugli organizzatori dell’evento…”
Dagli antiabortisti agli antieutanasisti, dai vaticanisti ai leghisti, tutti sono ora sulle tracce di Fedez e del suo intervento, che sicuramente ha avuto la diretta conseguenza di smuovere un po’ gli animi e di ridare vigore ad un settore – quello dello spettacolo – che, forse, di una bella polemica aveva proprio bisogno.
Ora, senza voler entrare nella cronaca minuto per minuto – manco fossi Enrico Ameri –, c’è un tema, che è poi il vero tema, da affrontare: ciò che conta non è uno sparuto discorso, un mero intervento, una singola presa di posizione.
È il sistema.
D’accordo, avevo detto che era sconsigliabile utilizzare questo termine ma in questo caso è necessario. È un sistema di regole ben preciso che deve disciplinare la linea editoriale di una Tv pubblica, non le esigenze dei partiti.
Che la Rai debba uscire dalla politica (o la politica dalla Rai) lo hanno detto tutti, finanche i grillini ma poi, accordatisi con la Lega, hanno nominato Marcello Foa suo presidente solo perché, in qualche tweet, s’era schierato contro il Presidente Mattarella, odiato dopo l’affaire Savona.
Un buon motivo.
La Rai va riformata. Va riformata affinché le intemerate romantiche non siano il frutto di un ipocrita braccio di ferro (ipocrita per chi le sostiene e per chi vorrebbe vietarle); va riformata affinché sia concesso a tutti di esprimersi, nei limiti del possibile, in totale libertà, garantendo contraddittorio e libero accesso; la Rai va riformata perché cammina sulla uova: tra la necessità di fare concorrenza a Barbara D’Urso e alla sua tv di alta qualità e quella di badare al contagocce partitico, il servizio pubblico – quello vero – è evaporato come la neve al primo sole.
Nel secolo del digitale, del pluralismo informativo, delle fake news e delle post-verità, la Rai può e deve ancora essere in prima linea.
A patto che la sua attività sia superpartes e che il dissenso non venga negato ma disciplinato.
Diversamente, tanto meglio la Cina…
bertolottipf, CC BY 2.0 <https://creativecommons.org/licenses/by/2.0>, via Wikimedia Commons