Tutte le squadre sono uguali ma qualcuna è più uguale delle altre
-di Pierre De Filippo-
Alla fine, dopo tanto parlare, discutere, provocare e minacciare è nata la Superlega, questa sorta di mastodontica competizione calcistica europea che dovrebbe vedere la partecipazione delle più grandi, titolate e, soprattutto, ricche squadre del continente.
Una sorta di élite calcistica, di jet set pallonaro, di crème de la crème futbolera. Un’ammucchiata selvaggia che conta, allo stato attuale, dodici membri fondatori: le italiane Juventus, Milan e Inter; le inglesi Manchester United, Manchester City, Chelsea, Liverpool, Arsenal e Tottenham; le spagnole Real Madrid, Barcellona e Atletico Madrid.
Il gotha calcistico, essenzialmente.
Perché di questa sorta di colpo di stato rispetto all’attuale governance del calcio, FIFA e UEFA? Per il motivo più antico del mondo, per soldi.
Vedere settimanalmente Milan-Barcellona è cosa diversa dal vedere Crotone-Udinese. E maggiori sarebbero le persone disposte a pagare per assistere ad uno spettacolo del genere.
Il potere costituito chiaramente non l’ha presa bene. Il presidente dell’UEFA, Aleksander Ceferin ha tuonato: “Il mondo del calcio è unito, i governi sono uniti, siamo tutti uniti contro questo progetto senza senso. I calciatori che parteciperanno alla Superlega non disputeranno né il Mondiale, né l’Europeo”, prima di lanciare una infuocata stoccata ad Andrea Agnelli, patron della Juventus, “non ho mai visto una persona mentire così tante volte e così insistentemente come lui. L’ho sentito sabato pomeriggio e mi aveva rassicurato sul fatto che fossero tutte bugie. Evidentemente, l’avidità consente a tutti i valori umani di evaporare…”
Una presa di posizione durissima, per chi rischia di perdere le formazioni più appetibili dei propri campionati nazionali e che vedrebbe, soprattutto, la Superlega porsi in evidente contrapposizione con la Champions League perché, a meno di non trasformare i calciatori in Hulk, le energie prima o poi verranno meno.
Qual è l’idea dei Fondatori? Essenzialmente, una Champions annuale: partite infrasettimanali, con le Leggende impegnate a scontrarsi tra di loro, prima di tornare in patria il fine settimana ed adempiere al dovere di battere qualche squadretta di metà classifica.
Chi finanzierà questo esperimento? Sarà l’imponente banca d’investimento americana JP Morgan, che ha confermato i rumours per bocca di un suo portavoce londinese.
Arieccoce, verrebbe da dire; quando si dice la genetica. Pare non esserci al mondo alcuna operazione ambigua, opaca e discutibile che non comporti l’interesse di JP Morgan. È una sorta di richiamo del sangue.
Non sono però solo le istituzioni calcistiche ad essere sul piede di guerra: molti altri club – Paris Saint Germain e Bayern Monaco, per citare le più blasonate – hanno già annunciato di non voler far parte del gruppo; alcune tifoserie – penso alla leggendaria curva Kop del Liverpool – hanno detto chiaramente di non aver gradito l’ingordigia e l’avidità delle proprie presidente; i governi di Inghilterra, Francia e Italia si sono espressi contro la competizione, che lederebbe il principio del merito, cardine della cultura europea.
Che dire? Il calcio, volendo un po’ fare i romantici, non è più quello di una volta.
Il potere costituito – quello che oggi sbraita – ha avallato, accettato supinamente, ratificato i desiderata dei grandi club: dal fair play finanziario imposto ad orologeria, a nessun tetto per i milionari stipendi delle stelle, fino ad una disciplina sulla vendita dei diritti televisivi che li premiasse e li privilegiasse a discapito di tutti gli altri.
Avrebbe potuto fare diversamente? Forse no.
Ed è il motivo per il quale il tradimento di queste società appare ancora più inaccettabile.
Perché la decenza ha sempre un limite e l’ipocrisia va ben ponderata. Il troppo storpia sempre.
Andrea Agnelli placidamente, qualche tempo fa, si era chiesto se fosse giusto che l’Atalanta, squadra “senza storia internazionale”, partecipasse alla Champions solo grazie ad una “grande prestazione sportiva”; domenica, vincendo proprio contro la Juventus, l’Atalanta superava in classifica proprio i bianconeri, ribadendo che il merito, alla fine, vince anche sui soldi.
In periodo di distanziamento, questo assembramento pare palesemente fuori luogo, soprattutto perché non ha alcuna giustificazione, né etica né sportiva.
Ma, si sa, tutte le squadre sono uguali ma qualcuna è più uguale delle altre.
