Covid 19 e crisi climatica: è emergenza globale

-di Clelia Pistillo-

Erano stati ironicamente definiti Gretini, i sostenitori del movimento ambientalista guidato dalla giovane attivista Greta Thumberg, e non li avevano presi troppo sul serio.

Accade sempre così, quando qualcuno di nuovo si affaccia sulla scena e ci fa notare che qualcosa non va, viene sempre accolto male specialmente dalle generazioni precedenti, quelle che se dovessero fare un passo indietro ammetterebbero implicitamente il fallimento del proprio modus operandi. In effetti, sono proprio le generazioni più vecchie ad aver accolto male la voglia di innovare, la voglia di cambiare, un dietrofront che invece gioverebbe anche a loro.

Dal 20 agosto 2018 in poi la giovane attivista ha intrapreso una serie di manifestazioni, istituendo il venerdì di sciopero scolastico, il cosiddetto Friday for future, per protestare contro le inusuali ondate di calore che nel suo paese avevano causato numerosi incendi boschivi. Da quel momento, in tutto il mondo si sono susseguiti movimenti ispirati a quello della giovane Thumberg ponendo in breve tempo una questione importantissima all’attenzione mondiale: la crisi climatica.

Il 28 novembre 2019 il Parlamento Europeo ha proclamato l’esistenza di un’emergenza globale cioè quella del cambiamento climatico. Qualche mese dopo, proprio quando le istanze dei giovani ambientalisti venivano prese sul serio, è scoppiata la pandemia da Covid 19. In modo molto poco attento si potrebbe pensare che un’emergenza abbia oscurato l’altra. Forse, a ben vedere, le due crisi andrebbero intese come l’una lo specchio dell’ altra e bisognerebbe affrontarle con la stessa premura e la stessa urgenza. Non ha molto senso agire solo sugli effetti, bisognerebbe invece prevenire e, laddove sia possibile, agire sull’origine del problema.

Ed ecco che pandemia e crisi climatica non sembrano essere problemi slegati tra di loro. Da un’attenta analisi emerge che gli allevamenti intensivi potrebbero aver avuto un ruolo determinante nel favorire la diffusione del Covid. Questi ultimi sono degli allevamenti industriali nei quali gli animali vengono allevati in modo rapido e possibilmente a costi bassissimi, per soddisfare la crescente richiesta di carni, distruggendo l’ambiente circostante e inquinandolo. La progressiva intensificazione di questi luoghi insalubri ha prodotto una riduzione della biodiversità e ad un aumento del riscaldamento globale che è la principale causa del cambiamento climatico.

Il discorso degli allevamenti intensivi ci porta al problema successivo quello dello spillover, altrimenti detto salto di specie dei virus. Quest’ ultimo è un  fenomeno molto frequente e, soprattutto nell’ ultimo secolo, la maggior parte delle malattie che si sono diffuse su scala globale trasformandosi molto spesso in pandemie hanno avuto in comune la stessa origine, sono state causate da microbi di origine animale che migrando da una specie all’altra sono arrivate all’uomo.  Fenomeno, questo del salto di specie, favorito da ambienti insalubri come quelli appena descritti.

Quest’anno l’OMS si è recata in Cina per indagare sull’origine del Covid 19 e, sebbene i pipistrelli non siano animali da allevamento, un dato è certo: gli allevamenti intensivi hanno favorito la migrazione da una specie all’ altra.

In Cina, in passato, la carne veniva consumata al massimo tre volte all’anno ma negli scorsi decenni il mercato della carne è cambiato, i piccoli allevatori sono completamenti fuoriusciti dal mercato e la richiesta sempre più crescente ha spinto ad intensificare il numero delle aree in cui vengono allevati gli animali, occupando anche aree tradizionalmente incoltivabili. L’uomo si è sempre di più avvicinato alle foreste iniziando ad interagire con gli animali selvatici. È nata così anche l’abitudine di cibarsi di nuove specie animali, come quelli selvatici e non controllati, venduti nei wet market (mercati umidi), luoghi non a norma e quindi favorevoli alla propagazione di virus zoonotici. E sarebbe bello poter attribuire tutta la colpa alle abitudini alimentari di una cultura o di un’altra.

Invece, trovare soluzioni del genere è molto riduttivo, innanzitutto perchè bisogna precisare che dietro all’intensificarsi di questi allevamenti cinesi ci sono interessi economici che coinvolgono anche l’Occidente avanzato. In secondo luogo, bisogna prendere coscienza che in futuro altre pandemie potrebbero diffondersi partendo da un luogo geografico qualunque se si continua a produrre in carni a basso costo, in modo compulsivo, tenendo in piedi allevamenti intensivi come quelli sopra citati.

Per comprendere quanto questo problema sia globale e non riguardi purtroppo solo l’estremo Oriente, basta dare uno sguardo alla situazione italiana. Ecco che se concentriamo il nostro sguardo sulla nostra nazione possiamo asserire con assoluta certezza che le regioni più colpite dalla pandemia sono quelle del nord, in particolar modo la Lombardia e il Veneto, dove i livelli di inquinamento sono più elevati rispetto ad altre regioni d’Italia. Addirittura in alcune zone della Lombardia sembrerebbe esserci un nesso tra l’inquinamento prodotto dagli allevamenti intensivi, anche attraverso i liquami che infiltrano i terreni e diffusione del Covid. Aggiungiamoci poi il particolato atmosferico ed livello di smog che il Lombardia è tra i più elevati in Europa e, sicuramente, il più elevato in Italia ed ecco che il puzzle comincia a comporsi. L’alta mortalità in quelle zone pare sia dovuta anche ad una resistenza polmonare ridotta proprio a causa dell’aria compromessa.

Se ormai è un dato consolidato che il cambiamento climatico abbia favorito lo sviluppo dell’attuale pandemia forse, dovremmo far si che il Covid possa rappresentare anche il momento di svolta,  la soluzione, il punto da cui ripartire. Bisognerebbe avere il coraggio di rivedere i modelli di sviluppo attuali e proporci tra gli obiettivi quello del contrasto ai cambiamenti climatici, intesa come azione per contrastare e prevenire l’insorgere di nuove pandemie. Nel 2004 l’OMS e L’OIE affermarono che l’incremento della domanda di carni allevate in modo industriale fosse tra le principali cause della propagazione di nuove patologie zoonotiche sconosciute oltre che responsabili anche della conseguente deforestazione di intere aree necessarie per ospitare gli allevamenti. Insomma un disastro annunciato quello del Covid.

È fondamentale mettere in discussione l’idea  di voler a tutti i costi produrre e consumare in modo ossessivo dato che l’impatto ambientale è devastante. Ci si augura che anche l’Europa vada quanto prima in questa direzione e che le istituzioni agiscano in modo sinergico.

La crisi climatica – e la pandemia ce lo ricorda – necessita di azioni globali quanto più rapide possibili.

 

Fridays for Future – 25″ by Tommi Boom is licensed with CC BY-SA 2.0. To view a copy of this license, visit https://creativecommons.org/licenses/by-sa/2.0

Clelia Pistillo

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