Vjosa Osmani, nuovo presidente del Kosovo
In Kosovo non hanno bisogno di quote rosa- di Pierre De Filippo-
Ricciolina e sorridente. È il più immediato ed essenziale identikit di Vjosa Osmani, neoeletta Presidente del piccolo stato balcanico, indipendente dal 2008 e ancora non unanimemente riconosciuto a livello internazionale (l’Italia lo ha fatto immediatamente, per la cronaca).
Dopo l’interim che occupava da novembre, Osmani è stata confermata alla presidenza ottenendo ben 72 voti degli 81 delegati presenti in quel momento in Parlamento, venendo così legittimata democraticamente. Avvocatessa stimata, liberale convinta, “occidentale” in una zona che ha conosciuto il comunismo e la guerra civile, europeista e riformista, Osmani è tutto tranne che una figurante, una parvenue nel mondo della politica.
Prima di indicare due particolarità, due belle particolarità del Kosovo è necessario fare un breve resoconto della sua storia politica degli anni recenti: dopo essersi autoproclamato indipendente nel 2008 – come già si diceva – il piccolo Stato, della dimensione dell’Abruzzo all’incirca, ha scontato l’avversione e la rabbia della Serbia, dalla quale si era distaccato, da sempre il più potente e nazionalista Stato tra quelli venuti fuori a seguito della dissoluzione della Jugoslavia.
Un bel problema.
Repubblica parlamentare, democratica e rappresentativa, in Kosovo il potere esecutivo è affidato al Primo Ministro mentre al Capo dello Stato è affidato un potere cerimoniale, con un occhio lungo sulla politica estera, come sempre avviane in questi casi.
In principio fu Hashmin Thaci, una sorta di padre della patria, che ha guidato il Paese come Primo Ministro prima e Capo dello Stato poi, prima di cadere sotto i colpi di un’accusa di corruzione e di clientelismo diffuso.
Tutto il mondo è paese, verrebbe da dire.
A seguito di ciò, si è imposta la nuova generazione, che esprime la bella Vjosa Osmani e che esprime anche il nuovo Primo Ministro, Albin Kurti, leader del partito nazionalista di sinistra col quale la leader liberale ha stretto un’alleanza. Questo, dunque il quadro politico. Freddo e protocollare ma necessario per comprendere le dinamiche di un Paese.
C’è, come dicevo, un altro contesto che qui vorrei raccontare, due elementi che la dicono lunga sulle potenzialità di cui questo piccolo Paese potrebbe godere in futuro.
In primo luogo, va ricordato che Vjosa Osmani non è la prima donna alla quale sia stata conferita una così alta carica politica; tra il 2011 ed il 2016, Presidente della Repubblica è stata l’indipendente Atifete Jahjaga, che aveva appena 36 anni nell’anno in cui venne “incoronata”.
È, questo, il simbolo di una effervescenza culturale, di una modernità non imposta e sicuramente non pronosticabile, che non necessita di quote rosa o di altre marachelle di questo tipo che, lungi dal legittimare il ruolo delle donne, lo – ma questa è una mia valutazione personale – svilisce ulteriormente.
Il secondo elemento sul quale vorrei attirare l’attenzione è la giovane età della classe dirigente kosovara, coerente con la giovane età del Paese: 25 anni in media, 28 anni a Pristina, la capitale.
È un tratto peculiare perché conferma, di fatto, l’attribuzione ai Paesi balcanici di ruolo di frontiera tra due mondi, quello occidentale e quello non occidentale; nel primo, la crisi demografica – per quanto poco utilizzata come parametro per mezzo del quale comprendere le nostre difficoltà economiche e sociali – sta avendo un ruolo estremamente importante. Non si fanno più figli – l’Italia ne è l’esempio –, non si produce forza-lavoro, si riduce la produttività.
L’altro mondo, quello non occidentale, è caratterizzato invece da una prolificità in continua crescita, che consente delle performance economiche di rilievo.
La parità di genere e la gioventù della popolazione fanno ben sperare il Kosovo per il suo futuro.
Chissà, magari domani parleremo, inneggiandolo, al “modello Kosovo”.
Sarebbe una bella rivincita per la cenerentola d’Europa.
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