Terzo incontro con gli autori de “La primavera fuori. 31 scritti al tempo del Coronavirus”
Clotilde Baccari commenta i 31 scritti de “La primavera fuori”-


Il racconto di Claudia Landolfi è un decalogo per vivere seguendo non solo il conformismo, le logiche del lavoro, del profitto, ma per vivere con il cuore e con l’anima per una volta come parte di questo universo ..”come la foglie in trasformazione perenne , per una volta raccogliere tutto ciò che è vivo: un seme, una parola, un abbraccio e soffiarci dentro per ampliarlo….farlo con coraggio sentendoci protagonisti”. Si avverte la condanna, di leopardiana memoria, alle false illusioni del progresso che uccidono insieme all’amore anche l’uomo, perché Claudia sembra condividere in pieno quel messaggio sempre attuale di Pascal che, opponendosi a Cartesio, a Platone, agli agnostici e al dualismo radicale tra anima e corpo, percorre l’idea dell’uomo ragione e cuore; “noi conosciamo la verità non solo con la ragione ma anche con il cuore, cuore e ragione sono in sinergia”. Il messaggio è vivere la vita con il pensiero del cuore.
Un modello matematico ipotizza quanti gradi di separazione ci sono tra un individuo sano e un contagiato…Sabrina Prisco nel suo racconto riflette sulla repentinità del contagio e la inconsapevolezza che ne abbiamo. Il ritorno del protagonista da un viaggio aereo, una hostess con i primi sintomi di contagio, un susseguirsi di incontri, una serie di fermate tra negozi, bar, un avventore al banco che aspetta la sua consumazione, il treno affollato, un passaggio in macchina di un amico e poi l’incontro con il suo amico carabiniere, la visita a suo padre Matteo con la moglie e il figlio neonato che il nonno vuole conoscere … nonno e nipote, due mondi lontanissimi e speculari: la vita segata dalla nascita del piccolo Matteo e la serena separazione dalla vita del nonno Matteo che non ce l’ha fatta a sfuggire al Covid. La casualità, l’imprevedibile, le occasioni, il caso che traccia la nostra vita. Tutto narrato con agilità discorsiva straordinariamente calibrata che carpisce l’attenzione dell’autore fino alla fine.
Nel racconto di Domenico Notari, ancora una volta, come tante in questo periodo di pandemia, la colpa del contagio per colpa di una festa. Questa volta per festeggiare il fidanzamento del figlio di Vincenzo Notari con Clotilde Petrone. Lo sfarzo di una famiglia del primo novecento che da una economia fondiaria passa un sistema fondato sulla libera proprietà, quella dei Notari: nel grande salone di casa con affreschi liberty, il cuoco dei conti Carrara per eccellere nelle pietanze, il pavimento alla maniera pompeiana, il gigantesco lampadario di Murano, una descrizione di matrice verista ,colorita di naturalismo nell’ attenta introspezione dei personaggi e nell’accorata descrizione scientifica del cromatismo della spagnola che uccise buona parte della famiglia Notari: il nero, il rosso, il blu, l’elitropio, il colore della morte. Morirono tutti gli uomini della famiglia, rimase solo la signora Enrica che pagava il peccato della sua superbia, dell’arroganza del suo sfarzo e insieme a lei le tre figlie le cui vite e i propri caratteri vengono descritti verghianamente, con il peso della colpa di aver ceduto alla ostentazione e alla superficialità. Il messaggio vuole raccomandare la saggezza delle scelte nella tutela della propria e della altrui incolumità.
