Figliuolo di primo Letta

-di Pierre De Filippo-

Mi sia consentito questo gioco di parole per introdurre i due uomini della settimana: il generale Francesco Paolo Figliuolo – oggi commissario straordinario per l’emergenza Coronavirus – ed Enrico Letta, di ritorno dall’esilio parigino e pronto a sedersi sulla scottante poltrona (o forse è una sedia di plastica molto instabile?) di segretario nazionale del Partito Democratico.

Partiamo dal generale, meno conosciuto e dal compito forse più arduo (forse eh). La prima notizia è questa: finalmente abbiamo un piano vaccinale. Non mi pare poco.

Il generale ha individuato due priorità, abbastanza intuitive a dire la verità: incrementare l’afflusso di dosi vaccinali previste per l’Italia e riuscire a somministrarle.

Circa il primo, grande obiettivo conviene mettere le mani avanti: non dipende solo da noi. AstraZeneca è nell’occhio del ciclone per via delle problematiche riscontrate negli ultimi giorni ma, ad oggi, la scienza afferma che nessun collegamento può essere fatto tra la somministrazione del siero e le morti che ad essa sono seguite. Sta di fatto, però, che in più parti d’Italia le rinunce a farsi vaccinare sono state numerose. Non una bella cosa. D’altra parte, s’attende finalmente il vaccino Johnson&Johnson, “monodose”, di cui dovrebbero arrivare circa 25milioni di provette. Questa sì, una bella cosa.

Il secondo pilastro dipende davvero da noi e dalla nostra capacità di implementare politiche: non solo i vaccini vanno reperiti ma serve anche che giungano a destinazione, nelle vene dei pazienti.

Figliuolo – dopo aver accantonato le Primule di arcuriana memoria e aver convocato in fretta e furia la Protezione Civile – ha confessato il suo pensiero stupendo: far vaccinare l’80% della popolazione entro settembre. Ciò significa, calcoli alla mano, passare dalle circa 150mila somministrazioni attuali a mezzo milione di dosi. Un bello sforzo.

A questo proposito, un pensiero conclusivo e personale: le dinamiche mediche le giudica chi le conosce; la sicurezza di un vaccino la stabilisce chi di competenza; le pressioni e le piroette di BigPharma saranno le istituzioni a doverle chiarire. Ma se le dosi ci sono, sta a noi dimostrare di non essere, per l’ennesima volta, “un Paese di canzonette mentre fuori c’è la morte”.

Dopo Enrico il Navigatore ed Enrico il Conquistatore, ecco palesarsi a noi Enrico il Restauratore, tornato con lo scopo – per sua stessa ammissione – di “rimettere insieme i cocci del PD”; di quel partito che, ormai sette anni or sono, gli voltò le spalle senza troppi complimenti.

L’Assemblea Nazionale, che si terrà questa mattina, lo incoronerà – come spesso accade in quel di Largo Nazareno – all’unanimità segretario nazionale.

Gli auguriamo solo di sopravvivere.

Venendo, però, ai temi politici, due strade – per citare Frost – divergono dinanzi a sé: continuare l’abbraccio col Movimento 5 Stelle e – ma questa è una valutazione personale – perdere quel po’ di riformismo che, a parole, ancora dovrebbe avere o riprendere in mano la situazione, riscoprire la propria identità e discutere con tutto il mondo liberaldemocratico, in un’ottica costruttiva e che riparta dai cardini dell’atlantismo e dell’europeismo.

Atlantismo ed europeismo veri, non di facciata. L’atlantismo e l’europeismo di chi ci crede davvero, non di chi lo utilizza a giorni alterni a convenienza.

Servirà discutere con la base, questo è vero. Ma servirà farlo in una duplice veste: la base va rappresentata, ne vanno curate le esigenze e valorizzate le istanze ma la base va anche guidata, civicamente educata.

La base va ascoltata ma deve anche ascoltare, deve essere capita ma deve anche capire.

Questa è la differenza tra la politica seria e il populismo.

Si sa che il Figliuolo di primo Letta ha sempre una certa preminenza, una sua propria intrinseca rispettabilità, una forte legittimazione.

Entrambi ce la dimostrino, ne abbiamo bisogno

Pierre De Filippo Pierre De Filippo

Pierre De Filippo