Suolo Fragile, intervista a Domenico Sessa, Consigliere Nazionale Geologi
-di Maria Gabriella Alfano-
E’ accaduto di nuovo. Dopo le piogge di questi giorni, frane, alluvioni, smottamenti esondazioni di corsi d’acqua stanno flagellando la nostra Regione. Amalfi, Ravello, Cilento, Vallo di Diano, Avellinese, Irpinia, Agro Sarnese- Nocerino, Pellezzano sono solo alcuni di un elenco di territori che si allunga con il passare dei giorni.
L’ultima in ordine di tempo è la frana del costone roccioso di via Benedetto Croce, strada SS 18 tra Salerno e Vietri sul mare. Solo per un caso fortuito non ci sono stati danni alle persone. Gravi le ricadute sulla collettività: collegamenti interrotti, danni alle infrastrutture viarie, al patrimonio edilizio e alle attività economiche.
Non va meglio per il resto del Paese. Secondo l’ISPRA, l’Italia è il paese europeo maggiormente interessato dai fenomeni franosi, con circa i 2/3 delle frane censite in Europa.
Certo, fra le cause va considerato il cambiamento del clima che comporta le precipitazioni copiose e violente che sempre più spesso flagellano il nostro territorio. Per Legambiente, nel periodo gennaio-ottobre 2020 si sono verificati 86 casi di allagamento da piogge intense e 72 casi di trombe d’aria, in forte aumento rispetto ai 54 casi dell’intero 2019 e ai 41 registrati nel 2018. Ancora, 15 esondazioni fluviali, 13 casi di danni alle infrastrutture, 12 casi di danni da siccità prolungata, 9 frane da piogge intense.
Come mai? Dipende dalla conformazione del nostro territorio o da come ce ne curiamo?
Una cosa è certa: l’Italia, con i suoi quasi ottomila comuni e con una densità di popolazione che tocca i 200 abitanti per chilometro quadrato, è un Paese che dal secondo dopoguerra ha registrato un’importante trasformazione antropica, un’urbanizzazione non sempre supportata da una corretta pianificazione territoriale e in cui continuano a registrarsi episodi di abusivismo edilizio.
Ne parliamo con il dr Domenico Sessa, salernitano, componente del Consiglio Nazionale dei Geologi.
Consigliere, come spiega questo incremento dei fenomeni franosi, nonostante la normativa in materia di pianificazione idrogeologica e di mitigazione dei rischi? E’ tutta colpa dei cambiamenti climatici, dipende dalla morfologia del nostro territorio, dagli interventi di antropizzazione, dagli incendi boschivi o dalla scarsa manutenzione?
Oggi si pone poca attenzione alla fragilità geomorfologica del nostro territorio e si sottovalutano i naturali processi geologi, idrologici e climatici. L’effetto combinato di eventi di notevole intensità e la modificazione dell’uso del suolo in tempi recenti ha portato a una situazione di aumento del rischio alluvionale. La scarsa manutenzione, l’azione dell’uomo e le continue modifiche dei territori hanno incrementato la possibilità di accadimento dei fenomeni franosi, malgrado le normative in materia di pianificazione. Fondamentale è la conoscenza puntuale del territorio e la prevenzione.
Gli Organismi preposti ai controlli svolgono un’efficace azione per garantire che l’uso del territorio avvenga secondo principi di eco-compatibilità e sicurezza?
Oggi si cerca di attuare le politiche eco-compatibili ma, malgrado il controllo degli organismi preposti, assistiamo a uno scellerato uso del suolo e a situazioni di inquinamento allarmanti. Bisognerebbe non solo potenziare i controlli, ma anche promuovere lo sviluppo di comportamenti eco-compatibili in grado di tutelare ambienti urbani e naturali.
Contrastare l’antropizzazione nelle aree a rischio, tutelare i boschi, garantire la manutenzione dei siti naturali sono alcune delle possibili azioni da mettere in campo. In che cosa dovrebbero concretamente cambiare le politiche in materia?
Se partiamo da quanto accaduto negli ultimi 40 anni: abbandono dei terreni montani, continuo disboscamento, incendi boschivi, uso di tecniche agricole invasive e poco rispettose dell’ambiente, trasformazione degli alvei in strade, abusivismo edilizio, eccessiva espansione urbanistica con impermeabilizzazione dei suoli, mancata manutenzione dei versanti e dei corsi d’acqua, ci rendiamo conto che è difficile poter arginare i mali del nostro territorio senza un punto di partenza. Si cambiano persone, si cambia colore politico, purtroppo alla fine la musica è sempre la stessa. Sono anni che chiediamo la presenza del geologo in ogni ente preposto al controllo del territorio ma ad oggi, purtroppo, nulla è stato fatto in tale direzione, venendo così a mancare l’unica figura in grado di tutelare il territorio e di preservarlo alle generazioni future.
Quali attività dovrebbe svolgere il geologo in un Comune?
Il geologo dovrebbe essere impegnato in tutti gli interventi di prevenzione dei rischi e di trasformazione del territorio. Dovrebbe occuparsi delle analisi e dell’individuazione delle criticità, dell’elaborazione critica dei dati rilevati, delle attività connesse alla perimetrazione di aree a diverso livello di pericolosità e rischio, delle attività connesse alla verifica e valutazione di base della idoneità delle infrastrutture di emergenza, fino alle azioni operative per la salvaguardia dei beni e delle persone.
Inoltre, il geologo valuterà, sia durante l’emergenza che nel post emergenza, le situazioni di rischio residuo su cui attivare un costante monitoraggio sia per il superamento dell’emergenza che per il ripristino delle condizioni di sicurezza per la pubblica incolumità.
Una figura importante che dialoga con gli altri professionisti, come gli ingegneri e gli architetti, presenti in quasi tutti gli enti territoriali…
E’ così. Ritengo che inserire il geologo in tutti gli enti, in tutti i comuni, sia un atto dovuto e necessario affinché i nostri territori possano essere monitorati e presidiati al fine di salvare vite umane.
Noi italiani non sappiamo fare prevenzione e ci imbattiamo nella sempre più convulsa burocrazia.
Parliamo della nostra provincia. La frana su via Benedetto Croce ha nuovamente interrotto i collegamenti tra Salerno e il suo territorio a nord. Ricorderà che nel 2014 più o meno nello stesso tratto si verificò un analogo evento che comportò l’interdizione della strada per oltre un mese. All’epoca il costone roccioso fu messo in sicurezza utilizzando reti metalliche. Ci sono soluzioni alternative capaci di risolvere definitivamente il problema?
Eventi simili purtroppo se ne verificheranno sempre. La frana su via Benedetto Croce ci fa ricordare non solo quella di qualche anno fa, poco distante dal punto dove c’è stato il crollo di questa parte di costone, ma tutti i crolli che avvengono anche nella Divina Costiera che spesso e volentieri si trova isolata.
La messa in sicurezza dei costoni è fondamentale in quanto le infiltrazioni dell’ acqua nella parte fratturata della roccia giocano un ruolo dominante perché man mano essa scava all’interno e crea con il tempo delle strade che al momento opportuno determinano nuovi crolli. Le uniche soluzioni capaci di risolvere il problema sono il controllo, la manutenzione e la prevenzione. Senza queste alle prossime piogge staremo ancora a parlarne.
Quanto tempo a suo avviso occorrerà per riaprire questa strada così importante per la collettività?
Mi auguro che la riapertura avvenga in tempi brevi e che si faccia un piano di messa in sicurezza dell’intero tratto di strada affinché non abbiano più a ripetersi simili eventi che solo per fortuna non hanno causato tragedie.
C’è chi afferma che i fondi stanziati per la costiera amalfitana, che ha un indice di pericolosità idrogeologica compreso tra il 77 e l’88%, non sono stati spesi per mancanza di progettualità. Qual è la sua opinione?
La risposta è semplice, ribadisco che, fin quando la burocrazia la farà da padrona sarà difficile portare a termine i progetti, ovviamente a patto che ce ne siano di progetti e che siano funzionali.
Con il nuovo Governo Draghi è stato istituito il Ministero per la Transizione Ecologica. Poiché il 37% delle risorse messe in campo dal Recovery Fund serviranno a finanziare azioni per il clima e la biodiversità, come si coniuga l’esigenza di accelerare i processi di realizzazione e di rilancio economico con l’esigenza di salvaguardare e mettere in sicurezza il territorio?
In questo caso sembrerebbe che ai geologi abbiano riservato le briciole…Nell’ultima versione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza non sono previste adeguate risorse finanziarie per gli interventi cosiddetti non strutturali orientati ad aggiornare e mettere a sistema le conoscenze, presidiare, monitorare e mantenere in modo efficace il territorio.Dei 15 miliardi previsti per la tutela del territorio e della risorsa idrica sono solo 3,61 miliardi riservati agli interventi sul dissesto idrogeologico, di cui 3,36miliardi sono risorse già stanziate nel 2019. Soltanto 250 milioni sono nuove risorse, dunque poca cosa.
Per impresa verde ed economia circolare sembrerebbe non essere previsto alcun stanziamento per la riqualificazione e bonifica ambientale attraverso il risanamento ed il recupero delle aree inquinate. Un’altra criticità è la completa assenza di fondi destinati alla salvaguardia delle aree protette. Ancora una volta la figura del geologo viene messa da parte!
