Mario Draghi, i leader e la fascinazione del “salvatore della Patria”
-di Pierre De Filippo-
Il dibattito politico italiano ha più volte dimostrato di non conoscere una delle doti più apprezzate, delle caratteristiche indispensabili, delle attitudini più rilevanti in questi casi: la razionalità.
Viviamo di grandi amori e di cocenti delusioni, di lascia e prendi come gli adolescenti, di cotte fulminati ed altrettante fulminanti retromarce.
Il nostro rapporto con la leadership è stato sempre complesso, tanto che addirittura Benito Mussolini, il Duce in persona, avrebbe detto che “governare gli italiani non è impossibile, è inutile”. Non un buon viatico. È, forse, questo il principale pericolo che il sornione Mario, l’uomo tutto decisionismo e diplomazia, dovrà scongiurare: sarà osannato, apprezzato, stimato, avrà un Paese ai suoi piedi, un Paese che, come dice la storica modenese Simona Colarizi, “crede ancora di essere un suddito” e si comporta come tale.
Un Paese, al tempo stesso, che ha già dimostrato di avere memoria corta, cortissima e nessuno scrupolo ad andare oltre la riconoscenza o la giustificata delusione dietro il comportamento dei propri rappresentanti.
Dopo Partito Democratico, Italia Viva, Forza Italia ed i liberali di Calenda e di Emma Bonino che, da subito, si sono detti favorevoli e disponibili alla creazione di un nuovo Esecutivo, anche la Lega – con una piroetta che manco Carla Fracci – è tornata sui suoi passi, abdicando ad anni ed anni di sovranismo e, seppur a denti stretti, s’è concessa al banchiere di Città della Pieve.
Il MoVimento 5 Stelle ha tergiversato; ha prima risposto d’istinto dicendo che lui, con chi aveva “salvato l’Eurozona e non l’Italia” [le parole sono di Alessandro Di Battista], non sarebbe mai sceso a patti, non ci si sarebbe mai compromesso.
La democristianità irpina insita nelle vene di Luigi Di Maio ha smorzato i toni, facendo scendere il reggente Crimi a ben più miti posizioni: prima ascoltiamo, poi decidiamo.
Alla fine, si salverà la forma, si arzigogolerà qualche artificio retorico e si dirà che sì, è per il bene del Paese, e si sa che quando l’Italia chiamò…
Dall’altra parte della barricata, ferrea nella sua discutibile coerenza, c’è Giorgia Meloni che, col suo partito che ha quadruplicato i voti, vuole correre ad elezioni per capitalizzare il consenso.
Questa volta, però, l’enfant prodige della Garbatella potrebbe aver messo il piede in fallo: ci sta opporsi a Conte ed al suo governo “delle quattro sinistre”; ci sta opporsi ad una maggioranza litigiosa e, in alcuni casi, sconclusionata; ci sta anche, in una politica come la nostra, non avere poi realmente prodotto nulla che potesse essere discusso e dibattuto, al netto del mantra “prima gli italiani”.
Non ci sta non appoggiare una figura come Draghi. Non ci sta politicamente perché in questa occasione gli italiani vogliono, forse pretendono, coesione e unità nazionale, non distinguo e faziosità; non ci sta perché mai come in questo caso la fossilizzazione di questa posizione assume molto le sembianze della testarda ottusità e non quelle, romantiche e audaci, della coerenza.
Mario Draghi è un tecnico od un politico? La seconda più della prima: non ci si siede ai tavoli con Angela Merkel, con Barack Obama e con Macron senza essere un Politico, con la “p” maiuscola.
Che Mario Draghi sia un uomo pragmatico e realista è stato detto – d’altronde è figlio di Machiavelli -, che non sia un vanitoso ce lo auguriamo, perché ciò che distrugge i nostri leader è spesso la fascinazione del salvatore della Patria.