Werther fieber

-di Giuseppe Esposito-

Cade a gennaio un anniversario davvero particolare che riguarda un evento in cui si legge, per la prima volta forse nella storia, l’influenza della letteratura sulla realtà.

Avveniva infatti che la sera del 16 gennaio dell’anno 1778 J. W. Goethe si trovasse a prender parte, a Weimar,  alla veglia funebre per una giovane dama di corte, Christel Lassberg, che si era suicidata gettandosi nelle acque del fiume Ilm, non lontano dalla Hausgen, la residenza del poeta. Alla donna ripescata dal fiume  avevano trovato in tasca una copia del romanzo Die Leiden der jungen Werther Ossia i Dolori del giovane Werther, scritto quattro anni prima da Goethe. C’è nell’opera un passaggio che sembra spiegare quel suicidio:

Le grandi passioni sono malattie senza speranza. Le rende pericolose ciò che le può guarire.

Era forse quella la prima volta in cui Goethe si trovava in presenza di una vittima di quella che fu definita in seguito la Werther fieber, ossia la Febbre di Wether.

Il romanzo scritto nel 1774 da un Goethe di appena 25 anni è l’opera simbolo dello Sturm und Drang ed anticipa molti dei temi che saranno alla base del Romanticismo tedesco. Si tratta di un romanzo epistolare, formato dalle lettere che il protagonista del romanzo scrisse al suo amico Guglielmo, tra il maggio 1771 e il dicembre 1772.

Goethe lo portò a termine in sole quattro settimane ed, appena pubblicato a Lipsia, nell’autunno del 1774 divenne un successo clamoroso. Divenne il libro guida, la bibbia della giovane generazione, innescando in tutto il paese una vera e propria febbre wertheriana.

Il protagonista del romanzo divenne una sorta di modello per tutti i giovani tedeschi e non. Essi presero ad imitare perfino l’abbigliamento descritto dall’autore per il suo protagonista, frac azzurro e calzoni gialli, stivali di cuoio col risvolto sotto al ginocchio.

Tra gli innamorati divenne abitudine scambiarsi le proprie silhouettes, al modo dei personaggi del romanzo Werther e Lotte. Sugli oggetti di ceramica di Meissen, piatti e tazze, furono riprodotte scene tratte dal romanzo. Ma quella narrazione spinse spesso al Liebesschmerz, letteralmente amore dolore,  al male di vivere di molti giovani, al suicidio, ad imitazione del giovane Werther. Certo, di suicidi per amore se ne trovano anche nelle epoche precedenti, ma quella innescata dopo l’uscita del romanzo fu una vera e propria epidemia.

Prima di allora il suicidio era considerato il frutto di uno spirito traviato, dopo venne considerato con molta considerazione il segno di una sensibilità molto spinta e di una cultura superiore. Era pertanto inevitabile che le istituzioni ne fossero allarmate e che il testo finisse, in molte regioni tedesche, all’indice.

Il 30 gennaio del 1775, cioè a pochi mesi dalla pubblicazione dell’opera, la Facoltà di Teologia dell’Università di Lipsia diffuse un comunicato in cui diceva:

Poiché lo scritto del signor Goethe può impressionare i lettori in modo negativo, soprattutto quelli di carattere più labile e può far risvegliare i sensi di certe femmine, istigandole alla corruzione, abbiamo deciso di impedirne la distribuzione.

Ma la dimensione del successo dell’opera giunse ad infastidire perfino l’autore che, oltre ad essere costretto a rilevare le conseguenze negative che la sua opera aveva sui giovani, ebbe anche a lamentarsi della morbosità del pubblico e non solo di quello tedesco. Nel suo “Viaggio in Italia” , infatti, alla date del 2 febbraio 1788 scrive:

Qui mi importunano con le traduzioni del mio Werther, me le mostrano e chiedono quale si la migliore e se la storia sia vera! È una sciagura che mi perseguiterebbe anche in India.

Ma il quesito sulla veridicità della vicenda era legata alla narrazione di un fatto avvenuto due anni prima dell’uscita del romanzo. Esso riguardava il giovane intellettuale Carl Whilelm Jerusalem il cui suicidio aveva avuto una enorme eco nella opinione pubblica. E l’abbigliamento che l’autore descrive come quello del protagonista del Werther era quello indossato effettivamente dallo Jerusalem al momento della morte.

A proposito del Werther, Goethe affermò che il romanzo era stato scritto quasi inconsciamente. Infatti i dolori di Werther erano gli stessi di Jerusalem, poiché alla vicenda di questi egli si era ispirati, ma erano gli stessi  che aveva sofferto egli stesso.

Lo stesso Goethe era stato affetto da quella malattia della modernità che è il nichilismo. Ciò che aveva afflitto i nostri tre era l’aver dovuto riconoscere che vivere coincide con l’amare e dunque con la distruzione.

Werther è il simbolo dell’uomo moderno affrancato da qualsiasi morale e dedito solo alla ricerca del piacere e della sensualità.

Secondo Kierkgard l’uomo muore un poco ogni giorno perché spende la sua vita inseguendo la bellezza dell’istante, qualcosa cioè di effimero destinato a dissolversi in breve.

La vicenda di Werther  adombra quindi la vita dell’uomo moderno minata dalla “Krankheit zum Tode”, cioè da una malattia mortale che mette in evidenza i limiti della natura umana. L’uomo  può sopportare la gioia, il dolore e le sofferenze fino ad un certo limite, oltrepassato il quale, crolla. Werther si immola volontariamente perché è sorretto da una sola certezza, quella di poter approdare in un nulla salvifico, prima del quale egli aveva solo tramato tra l’essere ed il non essere.

Per quanto riguarda l’epilogo della vicenda di Jerusalem rispetto a quella di Werther, va rilevato come nel caso del primo si disse che in occasione del funerale “Das Kreuz ward vorans getragen”, cioè che una croce lo precedeva. Ciò a significare che quel funerale fu celebrato nel segno della solennità e della sacralità. Nel caso di Werther, il Goethe conclude con le parole:  “Nessun prete lo accompagnò”. Dunque il sacrificio senza redenzione è ciò che caratterizzerà tutto il wertherismo.

Una conclusione pessimistica che impronterà anche, in parte, il successivo Romanticismo tedesco.

Giuseppe Esposito

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