Il racconto della domenica di Giuseppe Esposito
Odi et amo-di Giuseppe Esposito-
La risoluzione era presa, avrei suscitato a nuova vita quel nostro amore morente, quel nostro amore intristito che appariva come una dolente ferita nelle nostre vite.
Tuttavia, avevo sottovalutato quanto tetragona possa essere la realtà che si è subito fatta carica di impartirci un cocente insegnamento. Non basta la volontà per ricreare quella sottile, misteriosa alchimia che sovrintese alla nascita del nostro amore.
La formula non è mai la stessa per quegli eventi straordinari, ma varia da caso a caso. Ed in questo non v’è scienza umana che possa soccorrerci.
Le umane scienze non sono riuscite a conoscere nel profondo i segreti di questo nostro vile involucro mortale di cui ne conosciamo ormai ogni meccanismo, penetrato in ogni più recondito recesso. Ma innanzi all’anima si è impotenti, si naviga nelle tenebre della più profonda ignoranza. Quei tentativi esperiti sono poca cosa, vagiti flebili, balbettii inconcludenti. Le umane scienze ignorano di quale sottile, impalpabile materia sia formata l’anima ed ignorano quale sia la sua sede in questo nostro umano simulacro. Esse pertanto, sui sentimenti che sono moti dell’animo, nulla possono. Esse non sanno come vivificare un amore che agonizza.
Il nostro amore rischia di morire, ma io da sotto le ceneri che lo hanno coperto, avverto ancora il tepore, arde come un’antica brace. Ed è nostra la colpa se si è intristito. Quelle ceneri sono fatte di ogni nostra disattenzione, di ogni nostro egoismo, delle nostre incomprensioni e dei piccoli rancori, detriti di vita cha abbiamo lasciato incautamente che si accumulassero, soffocando l’amore, brani di scontento che hanno risvegliato antichi fantasmi, illusioni di tempi remoti che il tempo ci mostra ingannevole, come epoche felici, come quella della nostra giovinezza, dei nostri amori di allora.
Ed oggi siamo giunti a credere di odiarci. Il nostro amore soffre, ma vive ancora. Ed io mi chiedo se sia possibile amare e odiare al tempo stesso. Domanda antica, quesito che già si poneva più di venti secoli or sono il romano Catullo. Ed il suo quesito è rimasto sospeso nell’aria in questi lunghi secoli che ci separano da lui. Il suo distico è rimasto scolpito nei nostri cuori. Quell’ossimoro sembra essere eterno e privo d’ogni soluzione:
Odi et amo. Quare id faciam fortasse requiris.
Nescio, sed fieri sentio et excrucior.
È dunque possibile che l’amore possa convivere con l’odio? Ed io sento che continuo ad amarti anche attraverso la cortina di indifferenza e rancori che la vita a posto tra noi due. Attraverso il velo che essa ha steso sul nostro amore. E, col poeta, se tu mi chiedessi perché, risponderei che lo ignoro, tuttavia sento che mi succede e mi struggo.
Occorre spazzar via le ceneri e soffiare su quella flebile brace morente, suscitare a nuova vita una fiamma che torni a scaldare i nostri cuori. Perché? Semplicemente per il fatto che l’amore è l’unica cosa che renda questa vita degna di essere vissuta. Perché in quella brace morente, traccia v’è ancora dell’antica alchimia da cui primamente scaturì l’amore, il nostro ed esso morto invero non è, ma vive ancora.
Odi et amo?
E che sia, ma l’importante è che io t’ami ancora.