16 gennaio 1957, Toscanini esce di scena

-di Giuseppe Esposito-

Il 25 marzo 1867, nasce a Parma, in una casa di Oltretorrente, in borgo San Giacomo, divenuto oggi borgo Tanzi, Arturo Toscanini. Il padre Claudio Toscanini  e la madre Paolina Montani, erano entrambi sarti ed entrambi melomani e frequentatori del teatro Regio. La passione per la musica è  ereditata dal giovane Arturo, che a nove anni, vince una borsa di studio per la Regia Scuola di Musica (l’odierno Conservatorio di Parma), non per la classe di pianoforte, come avrebbe desiderato, ma per quella di violoncello. Alla scuola di musica, il giovane si distingue dagli altri allievi e primeggia su tutti.

Nel 1885 si diploma con lode distinta e un premio di 137,50 lire ( circa 620 euro di oggi). L’anno successivo è assunto dall’impresario Claudio Rossi come violoncellista e secondo maestro del coro. Arturo Toscanini inizia così a girare il mondo al seguito della compagnia;  alla fine di quell’anno partecipa alla torunée in Sudamerica e l’anno successivo si trova a Rio de Janeiro, dove la sua compagnia deve mettere in scena diverse opere. Cominciano con il Faust di Gounod, ma il direttore d’orchestra Leopoldo Miguez  è subissato dalle critiche del pubblico e dei giornalisti ed abbandona il suo posto. L’impresario chiama a sostituirlo il maestro Carlo Superti che, alla prima dell’Aida, non riesce nemmeno a dare l’attacco all’orchestra a causa delle contestazioni del pubblico e si ritira. In quel momento i colleghi spingono Toscanini a prendere il posto sul podio per evitare di dover sospendere la rappresentazione. Il giovane Toscanini, che aveva all’epoca solo 19 anni, accetta. Sale sul podio, chiude lo spartito e inizia a dirigere a memoria. Fu un successo strepitoso, per gli applausi il teatro rischiò di venire giù. Era l’inizio di una delle carriere più brillanti nel campo musicale.

Al rientro in Italia è ingaggiato prima al Regio di Torino e poi alla Scala. Fu poi chiamato a dirigere nei più importanti teatri d’Italia. Nel periodo trascorso alla Scala mise in atto una vera e propria rivoluzione nel modo di rappresentare l’opera ed in quello di ascoltarla. Pretese l’illuminazione della scena, il posto in buca dell’orchestra e le luci in sala spente. Eliminò i bis e proibì l’ingresso in sala ai ritardatari. Cercò di inculcare l’unità di intenti a musicisti, registi, scenografi, costumisti, coordinando il loro lavoro. Cercò di inculcare al pubblico l’idea che il teatro non era solo fonte di divertimento, ma che esso aveva una funzione etica, oltre che estetica,  che incide profondamente nella società e nella cultura.

Nel 1908 fu nominato direttore del Metropolitan di New York, carica che tenne per sette anni, dirigendo ben 446 rappresentazioni di 31 opere diverse. Gli Stati Uniti erano diventati la sua seconda patria, ma aveva sempre l’Italia nel cuore. Durante il primo conflitto mondiale rientrò infatti nel nostro paese e diresse prevalentemente concerti a scopo benefico, anche al fronte.

Nel 1920 è nominato direttore plenipotenziario alla Scala di  Milano e mise insieme una nuova orchestra che portò in tournée in tutta Italia e poi negli Stati Uniti. Lì in America diresse ben 68 concerti ed incise dei dischi per la prima volta.

Nel 1931 prese parte alla commemorazione del musicista Giuseppe Martucci, presso il teatro comunale di Bologna. Si rifiutò però di dirigere la Marcia reale e l’inno fascista Giovinezza. All’uscita dal teatro trovò ad attenderlo un gruppo di facinorosi fascisti che lo aggredirono e lo schiaffeggiarono. Dopo tale episodio decise che non avrebbe più diretto in Italia fino a quando al potere fosse rimasto il regime di Mussolini. Fu allora chiamato a dirigere l’Orchestra della Palestina, un organismo creato da poco con musicisti ebrei fuggiti dall’Europa durante la persecuzione nazista.

Nel 1937 torna negli Stati Uniti chiamato alla direzione della NBC Symphony Orchestra formata, apposta per lui,  dai migliori musicisti americani. I suoi concerti furono diffusi in tutto il paese dalla Radio Corporation of America e Toscanini raggiunse una fama che si può paragonare solo a quelle delle moderne pop star.

Anche la televisione prese a trasmettere i concerti del maestro, che nel frattempo era divenuto un vero proprio idolo. Il suo arrivo dall’Europa è organizzato come un evento che risponde a tutte le più avanzate tecniche pubblicitarie. Schiere di fotografi saltano a bordo della nave che lo trasporta, prima ancora che questa attracchi alla banchina. La loro invadenza disturba il maestro che scoppiò in un uno dei suoi famosi e vilenti scatti d’ira.

Dopo la fine della guerra e la caduta del fascismo rientra in Italia, nel 1946. In occasione del suo ottantesimo compleanno dona due milioni di lire alla Casa di Riposo dei Musicisti di Milano. Poi è di nuovo in America per dirigere la NBC Symphony Orchestra in una serie di concerti in tutti gli States. Nel 1957, il 16 gennaio, esce definitivamente di scena. Si spegne nella sua villa di Riverdale, alla periferia di New York.

Qualche giorno dopo una folla immensa accompagna il suo feretri al Cimitero Monumentale di Milano, per un saluto prima della inumazione.

Giuseppe Esposito

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