Pianeta imballato da regali e acquisti on-line, botta e risposta tra Oceana e Amazon

-di Vincenzo Iommazzo-

Durante la pandemia è salita agli onori della cronaca la multinazionale Amazon che ha permesso a una fetta consistente della popolazione mondiale di fare acquisti on-line senza muoversi dalla poltrona di casa e, in più, di avere accesso a prodotti la cui vendita da parte dei negozi di prossimità è stata spesso proibita dalle varie colorazioni che hanno assunto i territori in lockdown più o meno estesi.

Una comodità che presenta però un lato oscuro per gli effetti negativi sull’ambiente causati dallo smaltimento degli imballaggi, moltiplicati dalla diffusione crescente dell’e-commerce. Lancia l’allarme Oceana, organizzazione ambientalista internazionale senza scopo di lucro, fondata per preservare e ripristinare i grandi mari del mondo. In un rapporto appena pubblicato, analizza l’impatto in termini di produzione dei rifiuti di plastica da parte di Amazon.

I dati sono impietosi: nel solo 2019 la compagnia di Jeff Bezos, il cinquantaquattrenne fondatore della multinazionale nato ad Albuquerque tra i deserti e le montagne del Nuovo Messico, avrebbe consegnato 7 miliardi di pacchi (in media uno per ogni abitante del pianeta) imballati con circa 210 mila tonnellate di plastica, bastante ad avvolgere non una, ma 500 volte la circonferenza della Terra; di queste, circa 10 mila tonnellate sarebbero finite in acqua causando enormi danni agli ecosistemi marini e alle circa 900 diverse specie ospitate, che ingeriscono il materiale scambiandolo per cibo, in particolare si calcola il 50% delle tartarughe e il 90% degli uccelli marini.

 “La quantità di rifiuti di plastica generata dall’azienda è sbalorditiva e cresce a un ritmo spaventoso” – sottolinea Matt Littlejohn, Vice President di Oceana. – “Il nostro studio ha scoperto che gli imballaggi in plastica e i rifiuti generati dai pacchi di Amazon sono per lo più destinati non al riciclaggio, ma alla discarica, all’inceneritore o all’ambiente, inclusi, sfortunatamente, i nostri corsi d’acqua e il mare. È tempo che Amazon ascolti i suoi clienti che, secondo recenti sondaggi, vogliono alternative plastic-free e si impegnano concretamente per ridurre l’impatto della plastica”.

Amazon, come prevedibile, smentisce e dichiara di utilizzare solo 52.000 tonnellate l’anno di plastica, numero comunque smisurato di rifiuti che imporrebbe un serio e urgente ripensamento dei sistemi di imballaggio. Ma non è solo Amazon a inquinare, basti pensare a tanti altri imballaggi inutili: solo per fare qualche esempio, vengono avvolti in pellicole di carta o di plastica banane ed agrumi che già dispongono naturalmente di bucce per giunta biodegradabili, siamo arrivati al punto di vendere in retina una singola testa d’aglio, per non parlare di quando ordini oggetti piccoli o piccolissimi e te li ritrovi consegnati in pacchi di dimensioni comparabili a quelle utilizzate nei traslochi…

Una possibile soluzione era stata identificata nell’uso di plastica biodegradabile, direzione nella quale si è mossa, ad esempio, la Cina attraverso la costruzione di nuovi impianti per produrre questo materiale; tuttavia uno studio elaborato da Greenpeace certifica che neanche la plastica biodegradabile è realmente in grado di decomporsi autonomamente, anzi, le pratiche di decomposizione spesso si sono rivelate altrettanto inquinanti.

Una via percorribile parrebbe essere quella già avviata in India dove, a partire dallo scorso 29 Giugno, la stessa Amazon si è impegnata a eliminare la plastica monouso; la decisione, estesa recentemente ai clienti dell’Unione Europea, (in anticipo rispetto alla data fissata dalla direttiva UE 2019/904, che aveva indicato luglio 2021 come data di attuazione delle limitazioni alla plastica monouso) argina a monte il problema relativo al riciclo; problema centrale se si pensa che a livello globale solo il 9% della plastica viene riciclata e che, per quanto riguarda nello specifico Amazon, solo l’1,67% dei clienti con abbonamento Prime ha dichiarato di smaltire correttamente la plastica degli imballaggi.

Quel che è certo è che occorre un drastico e repentino ripensamento dei materiali utilizzati per le spedizioni, anche a fronte del crescente aumento degli acquisti effettuati online, che già per il 2020 comporteranno un ulteriore incremento della quantità di rifiuti in plastica, ragionevolmente presumibile in quanto Amazon, in tempo di Covid-19, ha visto i suoi ricavi aumentare del 40%.

Ricercare, dunque, nuovi modi per imballare e continuare nel percorso di eliminazione della plastica monouso: sono queste le prime sfide a cui Amazon, ma anche gli omologhi minori, deve rispondere quanto prima non solo a parole, come ha già fatto, ma con azioni concrete volte a tutelare non più soltanto il profitto ma anche la preziosa salute del Pianeta.

 

Vincenzo Iommazzo