Natale in casa Castellitto

-di Francesco Fiorillo-

A 120 anni dalla nascita di Eduardo De Filippo, la RAI ha trasmesso “Natale in casa Cupiello”, con Sergio Castellitto nel ruolo che fu dello straordinario drammaturgo napoletano. Perché?

Il Natale appena passato sembra uno spettro. Un’apparizione che è solo l’ombra della festa che siamo abituati a celebrare e ad attendere con affetto e trepidazione. La minaccia del Covid, le restrizioni imposte dal governo, lo scoraggiamento generale hanno reso queste festività limitate, sacrificate, per certi versi opprimenti. Non ci sentiamo ancora liberi di tornare alla nostra quotidianità e questo ci impedisce di godere delle nostre solite gioie.

Gli auguri che ci scambiamo sono velati di tristezza, accompagnati da frasi di circostanza. “Speriamo che il prossimo anno sia finito tutto”. Ma lo spettro resta, silenzioso e in agguato.

E’ quindi tanto più amaro che anche un’icona come “Natale in casa Cupiello”, riproposto dalla RAI in una nuova versione di Edoardo De Angelis, tradisca le nostre aspettative. Per chi ama il teatro (e la televisione) di De Filippo, ma non solo, quest’opera tragicomica è un classico. In tre atti, Eduardo crea uno psicodramma profondo e al tempo stesso leggero, una perfetta rappresentazione del Natale degli italiani: un momento di festa, che però è principalmente un’evasione dai drammi e dai conflitti familiari.

Una fuga dalla realtà che il protagonista, Luca Cupiello, attende tutto l’anno, perduto nelle sue fantasie fatte di presepi, capitoni e regali. Gli addobbi natalizi nascondono una vita miserabile, un microcosmo in bilico che il capo famiglia rifiuta di vedere. E quando il crollo avviene, proprio davanti alla tavola apparecchiata, nel momento dei regali, Lucariello ne viene schiacciato.

Il personaggio di Luca Cupiello colpisce e commuove proprio per la sua ingenuità. E’ un uomo bonario, con la testa fra le nuvole, che sogna il presepe come simbolo di una famiglia unita, amorevole, benedetta. Ma quando scopre che la figlia ha distrutto la serenità domestica tradendo il marito, per lui è troppo. Il dolore e la delusione lo inchiodano al letto causandogli un ictus, dal quale probabilmente non si riprenderà mai.

Ma il Lucariello di Sergio Castellitto è ben diverso. Sorvolando sulla scelta di un interprete romano (per quanto bravo) per un ruolo storicamente napoletano, il suo personaggio non appare ingenuo e bonario, ma rabbioso. Sempre perduto nel suo mondo, ma stavolta soggetto a scatti d’ira, urla e aggressività verso la famiglia che non lo capisce. E’ ovvio che l’attore abbia cercato di “far suo” il ruolo, ma con questa caratterizzazione il senso stesso dell’opera appare travisato.

Se nel lavoro originale il crollo fisico del capo famiglia è giustificato dal contrasto fra la sua purezza  e la scoperta della dura realtà, in questa versione il collasso appare inspiegato, forzato. Castellitto, al contrario di De Filippo, non appare un vecchio stordito e biascicante, ma un uomo forte, carismatico, acceso. La metafora di un presepe-famiglia che cade a pezzi qui non funziona: questo Luca Cupiello non è ingenuo, né troppo debole per reggere la delusione finale.

Anche gli altri attori appaiono poco convincenti: con l’eccezione delle sempre brave Marina Confalone (nel ruolo di Concetta Cupiello) e Pina Turco (nel ruolo di Ninuccia Cupiello), gli interpreti sono poco ispirati, privi del carisma e della dignità che i personaggi originali richiedono. Come il Tommasino Cupiello di Adriano Pantaleo, qui troppo caricaturale.

Sono molte altre le scelte di questa versione che rendono perplessi: come quella di ambientare la storia negli anni ’50 (per quale motivo?), o l’inserimento di una (superflua) scena nella bottega di un fabbricante di statuine (a che scopo?). Siamo di fronte ad un film che somiglia all’opera di De Filippo: ha le stesse battute, gli stessi personaggi, la stessa storia. Ma in realtà è qualcos’altro: un compito eseguito con diligenza, una poesia imparata a memoria, un contentino per spettatori poco esigenti. Un lavoro senza cuore.

Questo non è “Natale in casa Cupiello”: è un altro spettro, che ci ricorda la vita che ci apparteneva. Non commettiamo l’errore di crederlo reale.

 

 

Francesco Fiorillo

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