Il racconto della domenica di Giuseppe Esposito
di Giuseppe Esposito-
Guido i’ vorrei che tu e Lapo ed io
Fossimo presi per incantamento
E messi in un vasel che ad ogni vento
Per mare andasse, al voler vostro e mio,
si che fortuna o altro tempo rio
non ci potesse dare impedimento,
anzi, vivendo sempre in un talento,
di stare insieme crescesse il disio.
E monna Vanna e monna Lagia
Con quella ch’è sul numer de le trenta
Con noi ponesse il buono incantatore:
e quivi ragionar sempre d’amore
e ciascuna di lor fosse contenta,
si, com’i’ credo che saremmo noi.
In questo desolato Natale, oppresso dai fantasmi della pandemia, credo che ognuno di noi abbia sognato, desiderato d’essere altrove. In un altrove temporale più sereno se non proprio più felice.
Ed a tale pensiero, a questi desideri d’altri tempi o d’altri luoghi, m’è tornato in mente quel sonetto di Dante che, appreso nella fanciullezza, è rimasto, chissà perché, annidato in un qualche anfratto della memoria per saltar fuori di tanto in tanto; ogni qual volta, in verità, in cui la realtà si faceva più difficile e arduo diveniva l’accettarla sic et simpliciter.
E quel ricordo mi faceva sentire che quel desiderio di fuga, quella voglia d’evasione non erano poi così ignobili se prima di me, qualcun altro, e della dimensione morale di padre Dante, aveva avvertito lo stesso bisogno di fuggire dal suo tempo. E che quella voglia si fosse manifestata, già quasi otto secoli or sono, non poteva che farmi sentire confortato. Oggi, sebbene questo lungo incubo sembra esser giunto quasi alla fine, la capacità di sperare appare così provata da esser divenuta assai flebile. Ed allora il conforto di questi versi, così lontani nel tempo, ma così vicini al nostro sentire, agiscono come un balsamo sull’ animo ferito.
E sogno anch’io d’esser preso per incantamento e messo in un vasel con quella donna, il cui ricordo e il desiderio, dopo tant’anni mi tormenta ancora.