Il nuovo Presidente Biden rilancia la lotta ai cambiamenti climatici
Gli Stati Uniti riaprono la porta agli accordi di Parigi-di Vincenzo Iommazzo-
Ambientalisti di tutto il mondo esultano per l’impegno preso da Joe Biden neo presidente USA a rientrare nell’accordo di Parigi sul clima, addirittura entro i primi 77 giorni del suo mandato che comincerà di fatto il 20 gennaio 2021 (a meno che non dovesse trascinarsi negativamente l’elezione, cosa ritenuta poco probabile da eminenti politologi).
Per capire la portata di questo evento occorre fare qualche passo indietro. A dicembre 2015, nella capitale francese ospitante la conferenza sul clima COP21, fu negoziato dai rappresentanti di 196 stati ONU un accordo quadro per evitare pericolosi cambiamenti climatici, impegnandosi a limitare il riscaldamento globale ben al disotto dei 2 °C rispetto ai livelli pre-industriali entro la fine del secolo e comunque cercando di attuare da subito misure per non superare gli 1,5 °C.
Ma al moderato entusiasmo dei primi tempi per il risultato di Parigi, raggiunto dopo cinque anni di dispute tra nazioni dai differenti interessi, si era sostituito un malcelato pessimismo quando il presidente degli Stati Uniti Donald Trump, succeduto dal 20 gennaio 2017 a Barack Obama, aveva annunciato pochi mesi dopo l’insediamento di voler abbandonare l’Accordo.
Il tycoon aveva affermato che il documento era stato sottoscritto contro l’interesse di cittadini e imprese americane e privilegiava la Cina, facendo perdere milioni di posti di lavoro negli Stati Uniti. Fu subito messa in evidenza l’impossibilità di uscire in modo unilaterale dall’Accordo in forza dell’articolo 28 che obbliga in sostanza il paese “dimissionario” al preavviso di quattro anni, periodo di tempo che si sarebbe concluso poco prima della fine del mandato di Trump.
Sicché, proprio sul filo di lana, il 4 novembre 2020, il ritiro è entrato in vigore, ma la decisione non ha portato fortuna al presidente uscente che non ha ottenuto il secondo mandato dagli elettori americani.
Le elezioni hanno visto invece prevalere il 77enne Joseph Biden, originario della cittadina di Scranton in Pennsylvania, Stato che si è rivelato decisivo per la vittoria. Tra le prime azioni che il 46esimo neo presidente intende porre in essere, già presentate nel programma elettorale, vi è il cambio di strategia sul piano delle politiche energetiche e ambientali e il rientro nell’intesa di Parigi. In aggiunta preannuncia incontri con i responsabili delle industrie più inquinanti del Paese con l’obiettivo di incentivare soluzioni per decarbonizzare l’economia e abbattere le emissioni di gas a effetto serra. Si aprirebbe quindi per gli Stati Uniti una nuova fase politica, economica e ambientale con il vantaggio di riportare la nazione fuori dall’isolamento a cui fatalmente l’avrebbe condotta la strategia di Trump e riallineare il Paese agli obiettivi green ONU, in particolare degli altri due colossi planetari Cina ed Unione Europea.
Prende posizione, tra gli altri media statunitensi, la catena indipendente NPR (National Public Radio) di oltre 900 stazioni radio, addebitando alle scelte del precedente inquilino della Casa Bianca il rischio di un riscaldamento catastrofico della Terra avvalorato dall’attuale trend del livello di emissioni nocive.
“In questa occasione il popolo americano si è pronunciato sul voler cambiare direzione, dichiara Carter Roberts presidente e CEO del WWF negli USA. Lo ha fatto in un’elezione in cui il futuro del pianeta costituiva una parte centrale del programma. Il presidente eletto Biden entrerà in carica con il mandato di invertire la rotta nella lotta americana contro il cambiamento climatico. Egli eredita anche il compito di gestire la crisi COVID-19 in corso e prevenire future pandemie, un compito che include la “riparazione” del nostro rapporto interrotto con l’ambiente di cui facciamo parte. La scienza è chiara: l’umanità continua a essere a rischio a causa delle crisi innescate dal cambiamento climatico e dalla perdita di natura. Il nuovo presidente Biden è stato a lungo sostenitore di questi problemi. In qualità di senatore, ha sostenuto la leadership degli Stati Uniti nella conservazione della biodiversità globale. In qualità di vicepresidente di Obama, ha aiutato a negoziare l’accordo di Parigi e a stabilire forti politiche interne di contenimento delle emissioni di gas serra. Come candidato alla presidenza, infine,ha presentato il piano di giustizia ambientale e climatica più aggressivo mai introdotto da un candidato di un importante partito”.
Adesso inizia il duro lavoro. In campo internazionale può riprendere la collaborazione sulle politiche climatiche tra le principali potenze mondiali, in vista della COP26 che si terrà a Glasgow dal 1° al 12 novembre 2021. Le nuove date consentono al governo britannico e a quello italiano di mettere l’azione per clima al centro dei lavori del G7 e del G20, dei quali avranno rispettivamente la presidenza di turno il prossimo anno.
Per completezza di informazione sarà bene evidenziare che la possibilità di far passare provvedimenti incisivi in campo ambientale, è legata negli Stati Uniti al risultato del voto per il Senato che sarà chiaro il prossimo gennaio dopo i ballottaggi ancora da tenersi in Georgia. Se non dovesse risultare una maggioranza del partito democratico anche al Senato, come è già alla Camera dei Rappresentanti, si riproporrebbero per Biden le difficoltà già affrontate da Obama. In quel caso bisognerà rinunciare all’idea di poter emettere leggi nazionali e puntare a misure federali adottate dai singoli stati comunque finanziate con un corposo piano di investimenti di duemila miliardi di dollari per un quadriennio. Non resta che incrociare le dita, fare gli auguri e aspettare l’avvio dell’articolato programma.
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