Gigi Proietti: in ricordo di un amico
-di Francesco Fiorillo-
Ci ha lasciato nel giorno del suo ottantesimo compleanno uno dei più grandi mattatori dello spettacolo italiano: era ricoverato da giorni in terapia intensiva per gravi problemi cardiaci.
Difficile trovare le parole. Il teatro, la televisione, il cinema e la radio oggi piangono la scomparsa di un artista geniale, eclettico, divertente, che come molti altri grandi prima di lui lascia dietro di sé un’eredità che non dimenticheremo mai.
Gigi Proietti era un attore, un comico, un cantante, un regista, ma soprattutto un nostro amico. Una presenza familiare, una risata contagiosa, un volto allegro che ci ha tenuto compagnia per tanti anni, facendoci ridere, piangere e riflettere. Uno showman capace di essere cinico ma mai volgare, brillante ma mai superbo.
La sua carriera ha attraversato più di mezzo secolo di storia dello spettacolo italiano; dagli esordi a teatro fino al suo arrivo alla televisione e al cinema, Proietti si è dimostrato un interprete straordinario e multiforme. Un artista mimetico, in grado di muoversi disinvoltamente dalla musica alle macchiette, da Shakespeare ai fratelli Vanzina, da Petrolini alla fiction, dalla poesia al doppiaggio di cartoni animati. Senza sforzo, con autoironia e intelligenza.
Appassionato di musica fin da bambino (suonava chitarra, pianoforte, fisarmonica e contrabbasso) cominciò la sua avventura artistica esibendosi nelle feste studentesche, nei bar, e nei night-club della Capitale. Si iscrisse al Centro Teatro Ateneo, dove fu allievo (fra gli altri) di Arnoldo Foà e Giulietta Masina. Abbandonata la facoltà di giurisprudenza (con rammarico dei genitori, che non approvavano la sua decisione), frequentò il corso di mimica del Centro Universitario Teatrale: lì Giancarlo Cobelli notò il suo talento e lo scritturò per il suo spettacolo di avanguardia Can Can degli italiani del 1963.
Da quel momento, Proietti e il palcoscenico divennero una cosa sola. L’anno successivo, l’artista romano si esibì in numerosi spettacoli con il Gruppo Sperimentale 101, e ottenne parti da protagonista presso il Teatro Stabile de L’Aquila. Nel 1966 debuttò al cinema con un cameo nel film Se permettete parliamo di donne di Ettore Scola; seguirono altre comparsate (più o meno corpose) in varie pellicole, finché nel 1968 ottenne il ruolo principale ne L’urlo di Tinto Brass (in concorso al Festival di Cannes).
In televisione apparve per la prima volta nello sceneggiato I grandi camaleonti di Edmo Fenoglio (1964), e poi nel 1967 nella trasposizione de Il circolo Pickwick di Charles Dickens; ma il primo vero successo arrivò nel 1970, quando venne chiamato a sostituire Domenico Modugno nella commedia musicale Alleluja brava gente di Garinei e Giovannini, al fianco di Renato Rascel.
Le esperienze al cinema e alla tv non lo allontanarono mai dal teatro, il suo più grande amore: dopo aver recitato nel 1974 con Carmelo Bene ne La cena delle beffe di Sem Benelli, stringe un sodalizio artistico con lo scrittore Roberto Lerici, con il quale scrive e dirige i suoi spettacoli più famosi (come il celebre A me gli occhi, please del 1976, che verrà riportato in scena nel 1993, 1996 e infine nel 2000, in una memorabile esibizione al Teatro Olimpico di Roma). E’ in questi show che emerge con prepotenza la sua carica travolgente: completamente privo di una guida registica, l’artista romano si scatena come monologhista, cantante, imitatore e ballerino, riempiendo teatri e palasport di tutta Italia con un numero enorme di repliche.
La consacrazione finale presso il grande pubblico avvenne nel 1976, quando l’attore entrò nel cast di Febbre da cavallo di Steno nell’indimenticabile ruolo dell’aspirante attore Bruno Fioretti, detto Mandrake. Il film, che ebbe inizialmente una fredda accoglienza, divenne presto un oggetto di culto, anche e soprattutto grazie alla caratterizzazione e alle battute del personaggio di Proietti, entrate di diritto nel nostro immaginario comune (come le sue celebri mandrakate).
Nel 1978 assume al fianco di Sandro Merli la direzione del Teatro Brancaccio, dove crea il suo Laboratorio di Esercitazioni Sceniche per giovani attori (proprio come fece Vittorio Gassman con la sua Bottega Teatrale di Firenze). Dal Laboratorio emergeranno molti futuri volti del mondo dello spettacolo, come Flavio Insinna, Giorgio Tirabassi, Enrico Brignano e Rodolfo Laganà.
Ma l’attività frenetica di Proietti non si ferma a teatro, cinema e tv: ci sono le partecipazioni radiofoniche (Gran Varietà), il doppiaggio (Gatto Silvestro, Robert De Niro, Sylvester Stallone, Dustin Hoffman, ma soprattutto il meraviglioso genio della lampada di Aladdin), la narrazione (presta la sua voce alla versione del 1998 di Pierino e il lupo di Sergej Prokofiev), la pubblicità (è testimonial del caffè Kimbo), la poesia (con sonetti pubblicati negli anni ’90 su Il Messaggero), e la scrittura (Tutto sommato qualcosa mi ricordo del 2013, e Decamerino. Novelle dietro le quinte del 2015).
Negli anni ’90 riscuote un grande successo nelle fiction RAI: esordisce con Un figlio a metà (1992) e Italian Restaurant (1994) di Giorgio Capitani, per poi esplodere nel 1996 con Il maresciallo Rocca (sempre diretto da Capitani); la serie, partita in sordina, conquista il cuore di milioni di spettatori, arrivando a far concorrenza al Festival di Sanremo e generando cinque stagione e una miniserie.
L’ultima apparizione al cinema risale al Pinocchio di Matteo Garrone, l’anno scorso: il suo Mangiafuoco, burbero ma dal cuore d’oro, è stato uno dei gioielli del film, una tenera carezza e un addìo umile e commovente al mondo dello spettacolo.
E’ davvero impossibile descrivere quanto Gigi Proietti abbia contribuito alla nostra cultura. Quanto sia stato la nostra cultura. Ma nel provare dolore per la sua scomparsa, forse possiamo consolarci ricordando il suo sorriso, il suo umorismo dissacrante e la sua voglia di scherzare.
Perché in fin dei conti, l’artista è un bambino. Con i suoi giochi e le sue folli fantasie.
Come ebbe a dire egli stesso: Ringraziamo Iddio, noi attori abbiamo il privilegio di poter continuare i nostri giochi d’infanzia fino alla morte, che nel teatro si replicano tutte le sere.
