Il racconto della domenica di Giuseppe Esposito
Un amore al tempo della pandemia-
Si erano conosciuti a Milano in occasione del Carnevale, quello Ambrosiano che inizia quando quelli celebrati nelle altre parti d’Italia sono finiti. Ed anche in questo sventurato anno 2020 erano molte le feste approntate. Carmela e Matteo, che, come si può arguire dai nomi, non erano certo milanesi, ma figli del sud emigrati a Milano in cerca di quel lavoro, che qui da noi, è da più di un secolo, una chimera. Sebbene cominciassero già a diffondersi notizie di contagi di uno strano virus che aveva messo a dura prova la Cina, nessuno pensava che quel virus avrebbe avuto diffusione in occidente. Così i nostri due giovani, indipendentemente l’uno dall’altra, poiché ancora non si conoscevano, avevano deciso di partecipare al Gran Ballo in Maschera organizzato dal FAI, presso l’Arena Civica di Parco Sempione. Era febbraio ed i nostri due sconosciuti, , si scontrarono al banco del buffet, intorno a cui, come in tutte le altre simili occasioni, si accalcavano i convenuti. Matteo, spinto dalla calca dette uno spintone a Carmela facendole rovesciare il contenuto di un piatto colmo di diverse specialità attinte dalla imponente imbandigione della festa. Mortificato si scusò ripetutamente e si offerse di ricostituire il piatto ormai andato perduto. Poi, si rifugiarono, tacitamente, in un angolo più tranquillo in cui bere e chiacchierare in pace.
E la conversazione prese a fluire facile e piana come tra due persone che si conoscono da sempre.. Sentivano entrambi di aver trovato nell’altro quello che, inconsciamente, avevano sempre cercato. Era scoccato quello che i francesi definiscono coup de foudre, quell’innamoramento a prima vista inspiegabile e raro.
Quando la sala cominciava a svuotarsi, decisero di andar via. Uscirono e lui l’accompagnò. Non osò darle quel bacio che desiderava, ma si ripromise di farlo la prossima volta. Era un romantico, ma terribilmente timido con le donne. E lei che aveva covato lo stesso desiderio, per tutta la sera, fu delusa. Fu sul punto di prendere l’iniziativa e stringerlo a sé, ma si trattenne. La timidezza di lui lo faceva somigliare, ormai sulla soglia dei quaranta, ad un adolescente e commosse Carmela che rimandò anch’ella quel bacio al prossimo incontro. Si rividero per altre due o tre volte, poi lei dovette tornare a casa, a Salerno, ripromettendosi di tornare a Milano al più presto..
Era il 5 marzo ed il treno ad alta velocità partiva dalla Stazione Centrale alle 7. 15 del mattino. Lui l’accompagnò alla stazione e poco prima che le porte del treno fossero chiuse, lei gli si aggrappò al collo e lo baciò sulle labbra con un lungo, caldo ed intenso bacio, comunicandogli il fremito di tutte le sue fibre. Quando si staccarono una strana lieve malinconia li pervase e lui restò ad osservare mentre il convoglio si allontanava. Durante i giorni seguenti si scambiarono videochiamate sul cellulare e messaggi su FB.
Poi il 9 marzo il ferale annuncio del lockdown.. Le comunicazioni tra le regioni erano state interrotte. La situazione sanitaria in Lombardia era descritta, nei notiziari, assai grave e quel loro amore appena sbocciato fu condannato a vivere di telefonate e di messaggi sul telefono.
Per rincuorarsi facevano ricorso alle parole di quei poeti che avevano conosciuto e descritto situazioni simili a quella loro forzata separazione. Così Matteo mutuando le parole di Dickens scriveva un giorno:
Il dolore della separazione
è nullo in confronto
alla gioia di incontrarsi
di nuovo.
E Carmela da Salerno rispondeva con i versi di Neruda:
Ancora abbiamo perso questo tramonto.
Nessuno stasera ci vide con le mani unite,
mentre il vento azzurro cadeva sopra il mondo.
Da Milano Matteo replicava con Rilke:
Noi ci tocchiamo.
Con che cosa?
Con dei battiti d’ali,
con le stesse lontananze,
ci tocchiamo.
Ma da Salerno, Carmela, invasa da un freddo timore, rispondeva con Ritsos:
Che farmene delle stelle,
di questo vento leggero che mi accarezza la sera,
che farmene di una finestra spalancata sul mondo,
sull’orizzonte, se non ci sei tu?
Col passare dei giorni una strana inquietudine prese ad impadronirsi della giovane, un femminile presentire cresceva in lei ed alimentava una paura sorda. Le notizie sulla pandemia al nord erano davvero sconfortanti. Mentre al sud la situazione sanitaria sembrava piuttosto tranquilla, al nord ed anche a Milano i notiziari descrivevano una situazione che appariva fuori controllo. Ad esorcizzare la paura, Carmela nelle sue comunicazioni evitava sempre di fare riferimenti alla terribile realtà in cui erano calati.
Lo stesso faceva lui e sembrava ad entrambi di essere riusciti a rifugiarsi in un altrove idilliaco dove la durezza della realtà non riusciva a penetrare.
Quella corrispondenza illuminava le loro giornate ed essi attendevano con ansia crescente il momento in cui avrebbero potuto riabbracciarsi. Tuttavia da un certo giorno in poi, parve a Carmela che le risposte del giovane fossero sempre più fredde e meno frequenti. Si allarmò ma evitò di chiedergli cosa stesse accadendo.
Poi, un brutto giorno Matteo smise di chiamare a e di rispondere agli appelli di Carmela. La gelosia fece star male la giovane che credette che quel loro amore ancora così giovane avesse ceduto a quella forzata lontananza e che Matteo, solo a Milano, avesse cercato un conforto più diretto tra le braccia di qualche altra donna.
Si chiuse in un ostinato mutismo da cui nemmeno le esortazioni dei suoi riuscivano a scuoterla. Il pensiero era sempre rivolto a Milano e la delusione era cocente. Si era forse trattato solo di un sogno? Ma già una voglia di reagire si impadroniva di lei. Non poteva lasciare, così a cuor leggero che un’altra donna avesse preso il suo posto accanto a Matteo. Bisognava attendere che vi fosse la possibilità di tornare a Milano ed allora avrebbe saputo come riconquistare il suo amore.
E quel giorno arrivò finalmente, Il 18 maggio venne dichiarata la fine del lockdown e pochi giorni dopo Carmela prenotò un posto a bordo del treno per Milano. Un treno praticamente deserto e, sebbene avesse sempre aborrito la calca, quella desolante solitudine le mise addosso una sottile angoscia. Aveva passato una notte insonne combattuta tra la speranza e la disperazione. Chiuse gli occhi e cercò di dormire.
Alla Stazione Centrale di Milano prese un taxi. A casa cercò di fare le cose con calma, quasi temesse il momento in cui avrebbe conosciuto la verità. Uscì di casa e di fronte al numero 9 di via Bergognone si arrestò e gettò un’occhiata in alto alle finestre di Matteo. Nessun segno di vita. Prese a passeggiare lungo il marciapiedi. Poi si sentì chiamare. Era la portinaia, un’anziana donna emigrata anch’ella da Napoli tanti anni prima.
“Signorì, ma cercate a qualcuno forse? Venite accà, dicitemmello a me ca forse ‘o cunosco, a chi jate truvanne?”
Carmela era restia, ma poi le si avvicinò. Quella davanti a lei era forse l’unico esemplare ancora esistente di una categoria ormai estinta, a Milano, quella dei portinai.
La vecchia ripetette il suo appello:
“Dicite a me a chi cercate?”
Carmela sentì che era venuto il momento di sapere e forse quell’anziana portinaia aveva qualche informazione utile per lei.
“Cercavo un amico.”
“E comme si chiamma st’amico, signurì?”
“Matteo …”
Un grido della portinaia:
“Uh, Maronna mia, se tratta pe’ caso d’’o duttore Noya?”
“Proprio di lui, ma perché me lo chiedete così?”
Chiese mentre una mano di ghiaccio prese a stringerle il cuore:
“Ma comme pecché? Ma vuie signurina mia addò site state ultimamente?”
“Sono stata a casa … a Salerno … sono rimasta bloccata dal lockdown.”
“Ah, mo’ capisco pecchè nun sapite niente. Chillo ‘o duttore Noya, poveru guaglione … chillu bravu giovane è … è …”
E non riusciva a concludere mentre nell’animo di Carmela le più nere previsioni si facevano realtà:
“Ma che volete dire? Forse che Matteo è mo … è morto?”
“Proprio accussì, signurì … quanto me dispiace. Chillu poveru giovane, vuie ‘o sapite … volontario p’’e ‘spitale ‘e Bergamo. Me diceva ca nce mancavano mascherine, guante e peffine ‘e cammese. Signurì ‘e mannavano a cumbattere armate ‘e preta ommice e fierre ‘e cazette. E quante ne so’ muorte … e isso mmieze all’aute.”
Matteo un brillante giovane medico di Napoli, alcuni mesi prima era stato assunto dal gruppo San Donato di Milano ed allettato dalle possibilità di carriera, aveva lasciato il suo studio di Napoli ed era approdato a Milano.
Carmela era divenuta pallida, lo sguardo le si era annebbiato e sentiva le orecchie fischiare.
“Signurì, ve sentite bona? Gennà porta ‘na seggia. Assettateve signurì, vulite nu bicchiere d’acqua?”
Ed il marito della donna accorse.
“Tenite signurì , ma vulisseve nu poco ‘e café?”
Carmela non rispondeva, la mente era altrove. Il colpo era stato troppo forte. Il tradimento poteva ancora affrontarlo e combattere per quel suo ancor giovane amore, ma la morte era troppo, una punizione troppo dura. Si avviò verso l’uscita come una sonnambula e la portiera le gridava dietro:
“Signurì, addò jate, stateve n’atu poco assettate, nun putite ji’ cammenanno accussì.”
Ma Carmela non l’ascoltava più.