Donne nelle rivoluzioni: il 30 agosto 1868 moriva la campana Michelina De Cesare

-di Giuseppe Esposito-

Oggi la cronaca ci rimanda immagini di donne in armi, vestite delle uniformi mimetiche e con i mitra imbracciati. Sono, ancora ai nostri giorni immagini forti e che scuotono le nostre coscienze, quelle di tante donne curde che combattono nel nord est della Siria per difendere il loro paese dalla invasione turca e che hanno combattuto contro le belve di Daesh. Esse sono tante, quasi 18000 su un totale di 48000 combattenti curdi.

Me nella storia, nella nostra storia vi sono esempi ormai dimenticati, di altre donne che nelle nostre contrade si sono opposte anch’esse ad un esercito invasore. Esempi che la storiografia ufficiale ha voluto declassare alla categoria del brigantaggio, appiccicando questa etichetta spregevole a gente che combatteva per il proprio paese, allo stesso  odo dei curdi di oggi. La donna che oggi volgiamo ricordare si chiamava Michelina De Cesare ed ebbe parte in una rivoluzione tristemente fallita, quella contro la brutale occupazione del Regno di Napoli da parte di un esercito di un paese il Piemonte, che aveva mosso un a guerra ad un paese amico ,senza neppure preoccuparsi di inviargli una dichiarazione di  guerra.

Michelina De Cesare, catturata dai bersaglieri piemontesi il 30 agosto del 1868 e trucidata barbaramente. Era una rivoluzionaria, una partigiana che si opponeva alla conquista della sua patria da parte di un nemico esterno ed osò sfidare a viso aperto le forze preponderanti degli occupanti. Fu torturata, uccia ed il suo corpo fu esposto sulla pubblica piazza e fotografato da quegli aguzzini che erano venuti, a loro dire, a liberare il sud da regnati stranieri, quando ognuno sa che i Borboni regnati erano napoletani e parlavano la stessa lingua dei loro sudditi. A differenza di Vittorio Emanuele e del suo ministro Cavour i quali parlavano francese e l’italiano lo conoscevano poco e male.

Michelina De Cesare era nata a Caspoli, in provincia di Caserta il 28 ottobre del 1841.  In una dichiarazione del sindaco del suo paese, forse ricostruita ex post ad uso della giustizia “italiana”, la si definisce ribelle fin da bambina ed insofferente alle regole ed alle leggi. Nel 1861 sposò un tale Rocco Tanga di cui rimase vedova un anno dopo.

Incontrò poi Francesco Guerra che era a capo di una banda che agiva in Terra di Lavoro. Nome che a quel tempo indicava una zona che abbracciava ampie zone di Campania, Lazio e Molise. Francesco Guerra era un ex soldato borbonico che si era dato al brigantaggio dopo l’unità d’Italia. Michelina prese a seguirlo e divenne la sua consigliera. Grazie alla sua conoscenza del territorio lo aiutava a preparare gli attacchi ai piemontesi ed anche a quelle persone ricche cui si poteva estorcere un contributo per la loro guerra irregolare. In breve divenne molto nota a temuta, ma la strada intrapresa da Michelina, come da altre donne come lei, non aveva altro sbocco che il carcere o la morte.

L’esercito le dava una caccia spietata, ma lei riuscì a resistere per più di tre anni. Infine fu catturata grazie alla delazione di un massaro di Mignano, attirato dalla ricompensa promessa a coloro che erano in grado di fornire informazioni per la cattura della banda Guerra. Ed anche il fratello, con cui i rapporti non erano mai stati buoni, fu corrotto dalla ricompensa e guidò i soldati al suo rifugio.

Così il 30 agosto i soldati del 27° Fanteria, agli ordini del maggiore Lombardi sopraffecero la banda Guerra. Molti furono uccisi durante l’attacco e molti furono i prigionieri. Tra essi Michelina De Cesare. In un rapporto del Comando generale così si accenna a lei:

… il compagno che con lui (Guerra) si intratteneva, appena visto l’attacco cercò di fuggire; ma una fucilata sparatagli da dietro dal medico di Battaglione Pitzorno, lo feriva, ma non al punto di farlo cadere, che continuando invece la fuga, si imbatteva poi in altri soldati che lo freddarono. Esaminatone il corpo, fu riconosciuto per donna e quindi, per Michelina De Cesare druda del Guerra…”

Quanto disprezzo in quella definizione per la  compagna di un brigante. Druda sta a indicare l’amante disonesta, la femmina di malaffare. A quel tempo infatti il giudizio per le donne che infrangevano le regole ferree imposte al loro sesso era spietato.

Nel caso di Michelina al disprezzo fu unito anche l’estremo oltraggio: denudato, il corpo fu esposto sulla pubblica piazza centrale di Mignano,  come se si fosse trattato di animale abbattuto. Michelina estrema figura del brigantaggio, fu umiliata e presa come modello negativo a favore degli pseudoeroi del risorgimento che avevano messo a ferro e fuoco un paese pacifico e messo in ginocchio un intero popolo.

Sarebbe ora di ridare dignità a quei resistenti che, al pari di coloro che nell’ultimo conflitto mondiale, si opposero alla barbarie nazifascista, combatterono per la loro patria, per la loro terra e per la dignità di un popolo.

 

 

Giuseppe Esposito

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