E’ morto il calciatore Pierino Prati: il ricordo di un ragazzo dell’epoca

Tutti pazzi per Pierino Prati- di Giuseppe Fernicola-

L’arrivo di Pierino Prati a Salerno nel lontanissimo 1965 (aveva solo 17 anni e veniva dal vivaio del Milan) fu un avvenimento di straordinaria importanza per la mia generazione di calciatori in erba, per i nati cioè fra il 1950 ed il 1953, sia per il risultato sportivo di quell’anno (promozione in serie B, un punto sopra il coriaceo Cosenza) che per il personaggio.

I suoi goal, il suo gioco e la capacità con cui seppe reagire alla rottura di tibia e perone a metà campionato ce lo fecero amare subito e spinsero molti di noi a diventare granata a vita.

Il pomeriggio dopo i compiti (si fa per dire), ci incontravamo al biliardo di don Ciccio in piazza Casalbore che era un vero e proprio covo di speranze calcistiche, molte militanti nelle giovanili della Salernitana .

C’era l’elegante Gigino Sica (il cui papà don Gaetano era puntuale testimone delle nostre gesta), c’erano Tonino Mari e Bruno Nicastro, meno tecnici ma belli da vedere a centrocampo e poi ancora Luciano Guidi, difensore deciso, Tonino Salvi giocoliere di fascia, Mimmo Teofilo che viveva al porto e ci frequentava raramente come pure Lucio Lambiase che abitava a Pastena.

Poi, fuori dalla Salernitana, c’erano i ragazzi della Pro Salerno, di cui ricordo Mimmo Pellegrini o della mitica Audax e persino della Faianese come Peduto che mi portò a giocare nell’Alaimo di Montecorvino Pugliano da cui partii per tre stagioni con la Battipagliese, ma allora giocavo nella Fiamma del mitico Vincenzo Calì.

E poi c’erano, e li cito a parte perché fra di noi furono quelli ad aver maggior successo, Matteo Santucci splendido giocatore a tutto campo (era in origine terzino sinistro) che nonostante usasse il piede destro solo come appoggio aveva un sinistro di ottimo livello ed una duttilità tattica che fece innamorare anche un duro come Tom Rosati che lo volle al Pescara dove finì la carriera esordendo anche in serie A e poi concluse prematuramente, a 57 anni, la sua vita.

L’altro personaggio e non solo calcistico, era Fulvietto De Maio che abitava al primo piano dello stabile del biliardo con una finestra che affacciava su quel marciapiede dove ci riunivamo.

Eh si, quello fu un anno magico con un condottiero come Tom Rosati ed un bomber come Prati che veniva esaltato dal veloce Corbellini o riceveva sponda dal bisonte Cignani o corridoi dal tecnico Cominato che non disdegnava anche di concludere direttamente

In difesa non ce n’era per nessuno con, pensate un po’, Piccoli in porta Rosati junior a marcare e spingere sulla fascia destra e la coppia centrale forse più forte di tutti i tempi con Alberti impeccabile in marcatura (ne sapeva qualcosa lo stesso Prati in allenamento) e Scarnicci vero collante della difesa, capitano autorevole e libero capace di spazzar l’area senza tanti complimenti, un gladiatore.

E poi Morosi, Dianti, Minto, Sestili e Pinuccio Adduci che ritrovai nella mia Battipagliese a fine carriera.

Noi si parlava quasi più di Salernitana ma di ragazze e quando Pierino si fratturò la gamba tirando in porta e segnando a Torre Annunziata, ci sentimmo di vivere una storia unica.

A turno salivamo in via Duca degli Abbruzzi, a portar giornalini all’infortunato, ad  averne notizie e ne seguimmo tutto il lungo calvario che lo portò a saltare 15 partite, ma vincere lo stesso il titolo di capocannoniere.

Ricordo che Rosati gli faceva salire e scendere innumerevoli volte la gradinata della curva, di lato, un gradino alla volta per irrobustire l’arto.

Noi, ogni giorno ci incontravamo al biliardo di don Ciccio (che anni dopo aprì anche un locale da ballo, il famoso “vengo anch’io”) ed appena compariva un pallone ci spostavamo tutti alle palazzine dove c’era la sede di Paravia, per giocare fino all’ora di cena.

Credo che se Fulvietto De Maio sia diventato lo splendido portiere che è stato, lo deve anche ai nostri rimproveri quando, fissatosi di  giocare da centravanti per imitare Pierino, appena presa la palla diceva ad alta voce “ecco Pierino prende il pallone, si libera dell’avversario, allunga il passo e tira..”.

Camminava arcuando le gambe per imitare lo stile naturale di Prati, cercava di muoversi come faceva lui e s’era messo proprio in testa di somigliargli.

Forse le nostre critiche impietose furono utili a fargli cambiar idea e a convincerlo di rimanere portiere, a partire per Torino ed a diventare quello che è diventato.

Quell’anno salimmo solo in serie B ma è come se avessimo vinto lo scudetto.

Avevamo vinto grazie ai gol di Prati e nonostante il suo infortunio.

La città era in estasi e noi più di tutti eravamo dentro quella pagina di storia calcistica, conoscevamo i giocatori, avvenimenti e fatti che non uscivano sulla stampa, ci sentivamo protagonisti.

L’anno successivo, il primo di B, le cose non andarono così bene ed accumulammo delusioni su delusioni fra cui l’impossibilità di avere ancora Prati che, dopo essere rientrato nel Milan, a novembre, fu dato in prestito al Savona, si disse per decisione di Rivera, dove segnando gol su gol nonostante avesse giocato solo un girone di ritorno, vinse ancora la classifica dei cannonieri.

Credo che quella memorabile epopea sia rimasta nel cuore di tutti i tifosi che l’hanno vissuta e che, come noi ragazzi, furono da allora tutti pazzi per Pierino Prati.

 

 

Giuseppe Fernicola