Un sogno bellissimo
-di Giuseppe Esposito-
E poi ti svegli una mattina e ti accorgi che il tuo orizzonte è sparito. Davanti a te un muro denso di bianca nebbia fumante, un ovatta impenetrabile che ti infonde un senso di angoscia e ti soffoca il respiro. Ti volgi indietro e t’accorgi all’improvviso di quanta strada tu abbia percorso per giungere a questo autunno del tuo personale scontento. La vita ti ha cacciato in un cul de sac senza prospettiva. Non hai più attese o speranze, che sai inutili. Non ti resta che abbandonarti, lasciarti vivere, se vita può ancora chiamarsi questo limbo informe e di cui non conosci il termine … attesa del nulla.
Affiorano allora alla memoria turbe di ricordi, volti scomparsi, affetti perduti e sogni e speranze che rendevano liete le ore e i giorni della giovinezza. E, su tutti, il ricordo di quella assurda certezza che i sogni si sarebbero poi avverati. Oggi non sogno più, ma brandelli di sogno ritornano a tormentarmi e poi mi accorgo che cullarmi in essi ancora mi alletta.
Ed ecco la memoria di una di quelle sere di un lontano, meraviglioso ottobre. Un ristorante minuscolo sul porto di Martigues e le sue case multicolori, simili a quelle di Burano, ed i canali. Davanti a me un volto femminile, Hélène e la sua voce squillante, giovane col suo charme parigino, dalla cadenza cantante. E il gioco lieve sul confine impreciso tra l’amicizia e l’amore. Attenti a non oltrepassare quel limite ma presi in quella serata strana, quasi in un sogno. Completamente liberi d’essere noi stessi. Il parlar fitto d’ogni cosa. Di libri e di cinema, di musica e della vita. Hélène sorride e mi guarda attraverso il tavolo, nella penombra della sala. Siamo quasi gli unici avventori, in questa tiepida sera d’ottobre e la scena è tutta per noi. Evitiamo di parlare del lavoro che ci ha condotti entrambi a Fos sur mer per un progetto presso l’acciaieria d’Ascometal. Una fabbrica infernale illuminata dalla luce vivida dell’altoforno, in un calore infernale e con così tanta polvere che ogni cosa ne è impregnata. Una polvere rossastra che la sera cercavamo di mandar via sotto la doccia.
Gli alberi delle barche ormeggiate alla banchina oscillano quietamente alla brezza marina e riferendomi al lavoro, che ci assorbe del tutto durante il giorno, mi sento pronunciare la frase:
“Il faut se decouper un espace de liberté” , Bisogna ritagliarsi uno spazio di libertà.
Al che Hélène annuisce e sorride. Sembra si sia d’accordo su tutto, in questa strana serata.
Poi d’improvviso il mare, le case colorate e le barche scompaiono e mi ritrovo sulla stradina che dallo Chateaux de Les Baux de Provence, mena al villaggio. Accanto a me ancora Hélène. In cielo una luna piena illumina ed inargenta le vie e le antiche pietre del borgo e conferisce al tutto l’apparenza del sogno. Siamo stati a visitare l’antico villaggio ed il castello che lo domina. Ora le prime ombre della sera hanno già avvolto ogni cosa e noi, prima di riprendere il viaggio di ritorno verso Fos sur mer, vorremmo cenare, anche per prolungare il piacere della compagnia. Ma intorno le botteghe sono chiuse, siamo in ottobre, fuori dalla stagione turistica. Scorgiamo in fondo alla strada l’insegna ancora accesa di una taverne e ci affrettiamo. Ma quando varchiamo la soglia vediamo l’oste che sta mettendo via i tavoli e le sedie. Ci guarda e, dalla sua espressione, sembra che voglia dirci che gli dispiace ma che non può accoglierci. Poi ci guarda ed il suo sguardo si addolcisce di una nostalgia lieve e forse dolce. Mormora: “Oh les amoureaux!”
E ci fa segno di entrare. Riapparecchia un tavolo e ci annuncia quel che può mettere in tavola. Ma a noi va bene tutto, purché si possa ancora godere qualche ora di quella notte che avanza.
Ci sediamo e riprendiamo il nostro parlottare fitto con l’oste e la moglie che ci guardano inteneriti. È un gioco il nostro, ma lasciamo che sia come se fosse tutto vero. Questi momenti insperati, in quella terra incognita tutta nostra del sogno ci seduce. Domani con la luce del sole, sarà dimenticata ogni cosa. Ma per quel momento godiamo del sogno e ci sentiamo felici. Una felicità che, mi accorgo ora, è rimasta impressa nella memoria come non mi sarei mai aspettato.
Poi le immagini del sogno scompaiono ed io mi ritrovo a rivoltarmi nell’incertezza dell’oggi cui i sogni mancheranno e le attese. Non è più tempo di sognare, solo lasciarsi vivere, quella vita che ancora ci tocca.