Se la pandemia risveglia l’ecologia

Il New Deal europeo per un continente sostenibile

In piena pandemia da Coronavirus e di altre catastrofi annunciate, le domande che emergono ormai frequentemente tra gli scienziati e sempre più tra le persone comuni, riguardano l’influenza che può avere su simili fenomeni il rapporto scorretto tra uomo e natura.

Da vari anni ambientalisti di tutto il mondo denunciano che qualcosa non va per il verso giusto. Nonostante faticosi accordi tra nazioni per cercare di rendere sostenibile lo sviluppo socio-economico, vediamo stabili se non in aumento i dati relativi ai decessi annui dovuti all’inquinamento, in crescita vertiginosa le proiezioni di mortalità annua causate dai cambiamenti climatici, con previsioni di danni economici dell’ordine delle centinaia di miliardi di dollari all’anno e spinte sempre maggiori a sommovimenti planetari come le migrazioni di massa.

Le connessioni tra epidemie e distruzione della biodiversità sono state esplorate da diversi studi e sono riconosciute ormai da numerosi esperti. Per limitarci ad un esempio relativo al nostro Paese, sembra non esserci dubbio che la particolare severità con cui la pandemia sta colpendo certe aree, come la pianura padana, sia connessa anche alle condizioni strutturali di forte inquinamento della qualità dell’aria, condizioni che persistono da decenni e che hanno già, di per sé, un impatto sulla mortalità in eccesso: da alcuni anni l’Agenzia Europea per l’Ambiente ne riporta le stime: 76.200 morti in Italia nel 2016 per quella causa.

Se la pandemia ci ha costretto a fare i conti con cambiamenti radicali negli stili di vita che non si sa quanto potranno durare, ci fornisce più di un motivo per immaginare ed avviare questa volta decisamente riforme strutturali nel nostro modo di produrre e consumare. Il modello economico basato sullo sfruttamento selvaggio delle risorse naturali e sulle emissioni inquinanti nell’ambiente non è più sostenibile.

Sarà difficile e forse controproducente pensare di superare la recessione economica conseguente alla emergenza sanitaria con interventi a pioggia dei singoli governi, ma, analogamente a quanto avvenne nel dopoguerra, occorrerà varare piani coordinati almeno a livello UE, traccianti una chiara direzione verso un futuro “verde” rispettoso della natura e dell’ambiente in cui viviamo.

In effetti la “traccia” c’è ed è contenuta nel “Green Deal”, presentato dalla Commissione Europea l’11 dicembre 2019, nel quale vengono individuale le sfide per rendere il nostro continente a impatto zero e trasformare l’Unione in una economia moderna, efficiente sotto il profilo delle risorse e competitiva. La tabella di marcia prevede entro il 2050 azioni che conducano a zero emissioni i gas a effetto serra, promuovendo l’uso efficiente delle risorse, per passare gradualmente a un’economia pulita e circolare, ripristinare la biodiversità e assicurare una transizione equa e inclusiva per tutti.

L’UE fornirà sostegno finanziario e assistenza tecnica per aiutare le persone, le imprese e le regioni più colpite dal passaggio all’economia verde. Si tratta del cosiddetto “meccanismo per la neutralità climatica e per una transizione giusta“, volto a mobilitare mille miliardi di euro nei prossimi dieci anni, di cui almeno 100 miliardi per il periodo 2021-2027 nelle aree più dipendenti da attività inquinanti come, ad esempio, Taranto sofferente per le produzioni dell’Ilva.

Per quanto riguarda il nostro Paese, dalle dichiarazioni del ministro per gli Affari Europei, il napoletano Vincenzo Amendola, si viene a sapere che “Le tabelle della Commissione europea, con la previsione di 364 milioni di allocazioni all’Italia a fronte di un contributo nazionale pari al 12% del Reddito Nazionale Lordo (vale a dire di circa 900 milioni di euro) sono solo la base per una prima stima, il cui ammontare potrà salire a circa 1,3 miliardi, crescendo fino a 2 miliardi una volta aggiunto il cofinanziamento nazionale e trasferite le risorse dai fondi strutturali. Con questo strumento si potranno inoltre mobilitare ulteriori investimenti pubblici e privati, anche grazie al contributo di InvestEu (lo strumento finanziario che a partire dall’anno prossimo subentrerà al Fondo europeo per gli investimenti strategici o Piano Juncker, di cui l’Italia è stata tra i principali beneficiari) e della Bei, nel contesto dei piani di transizione climatica finalizzati a sostenere l’occupazione e a contrastare gli effetti sociali nei settori industriali ad alta intensità climatica, fino a 4,8 miliardi di euro”.

Si possono aggiungere ovvie considerazioni, oggi più che mai condivisibili: il Piano europeo funzionerà solo se sarà assicurata la collaborazione di tutti, istituzioni, aziende e cittadini. E si dovrà essere coscienti che dovranno essere affrontati sacrifici, almeno all’inizio del percorso, in quanto non è semplice il passaggio da un modello di sviluppo risalente alla notte dei tempi, a un diverso e laborioso approccio a un nuovo tipo di vita. Ma tale percorso condiviso va affrontato con coraggio e la caparbia determinazione di chi oggi sperimenta la folle minaccia che sta vivendo il pianeta e comprende che non si intravedono all’orizzonte, almeno per ora, alternative valide per il cambiamento.

Vincenzo Iommazzo

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