Covid-19: intervista alla salernitana Serena De Luca, Custumer Success Manager a Parigi
Molti italiani sono all’estero in questo momento e vivono una duplice preoccupazione, la lontananza dalle famiglie e dagli amici di sempre e la preoccupazione per ciò che accade nel Paese di adozione. La Francia è uno di questi luoghi dove lavorano o studiano giovani italiani. La voce che ci accompagna in questa intervista è quella di Serena De Luca che vive a Parigi, da 11 anni sposata con Thomas e mamma di una bimba di quindici mesi Gaia Anna Eugenie, una Laurea in Economia Aziendale ed un lavoro presso Contentsquare in qualità di Customer Success Manager.
– Com’è la situazione attuale in Francia?
La totalità dei cittadini è stata messa in quarantena dal 17 marzo con la totale chiusura di tutti gli esercizi non indispensabili e limitazione delle uscite, previa compilazione di un modulo di autocertificazione. Oggi la situazione è uguale a quelle italiana, sarà il caso di dirlo, il Coronavirus non ha frontiere. Gli ospedali in determinate regioni definite foyer sono in condizioni di estremo sovraccarico per i posti in rianimazione.
– Le misure sanitarie prese dal Governo sono ritenute tempestive dai cittadini?
All’inizio, nei primi giorni di marzo, quando in Italia il Coronavirus iniziava la sua ascesa brutale, per numero di contagi e decessi, in Francia la situazione è stata diversa. Ricordo ancora l’intervento sulla TF1, del Ministro francese, Olivier Véran, che esponeva in chiare linee che il destino della Francia, davanti al pericolo del Coronavirus non poteva essere paragonato a quello dell’Italia.- Il loro sistema sanitario non è come quello francese, – rassicurava Véran. Ancora ribadiva che in Italia non avevano forse fatto test a sufficienza per valutare il rischio. Io viaggio almeno due volte al mese in Italia e ricordo che negli aeroporti di Linate e Malpensa, già a fine gennaio, veniva rilevata, all’atterraggio, la temperatura di ogni passeggero, mentre negli aeroporti di Parigi, nulla. E ciò fino al mese di marzo.
– I dispositivi di protezione individuale sono disponibili o sono carenti?
Sono una fortuna riservata a pochi eletti, mancano le mascherine per tutto il personale sanitario ed i dottori generalisti, per limitare il contagio. Si limitano a delle video consultazione coi propri assistiti. I test sono fatti solo su coloro che si recano in ospedale con difficoltà respiratorie. Molti malati sono trasferiti in altri ospedali di regioni meno colpite o, addirittura, in Germania per avere quelle cure che qui non sono possibili.
– Come vive la popolazione in questo frangente?
La vita continua a rilento. Coloro il cui lavoro lo permette fanno smart working ed improvvisano un ufficio a domicilio, tra una quiche e una videochiamata con colleghi e amici, in balia di bimbi sempre più irrequieti per non poter più sgambettare fuori casa. Si organizzano attività per intrattenerli e si è sempre più tesi nel conciliare torte e presentazioni in powerpoint col capo. Per coloro il cui lavoro implica una presenza sul posto, le aziende hanno intrapreso un piano di chaumage partiel che permette ai lavoratori di ricevere un’indennità dell’ottanta per cento.
– Cosa ti aspetti nel dopo Coronavirus?
Che riprenderemo in mano la nostra vita con più entusiasmo e consapevolezza. Spero fortemente che tutti non esauriranno, con questa immensa tragedia, anche la condivisione, la solidarietà e l’attenzione per il nostro pianeta.