Covid-19. Dolomiti, intervista a Federico Salvagno, allenatore federale, maestro di sci
Moena ai tempi di Covid19- di Denata Ndreca-
In questi giorni si è parlato tanto di didattica, scuola, apprendimento a distanza. Ma la distanza è un concetto che già conosciamo bene quando siamo innanzi ad una delle più grandi maestre di vita: la montagna.
Nel cuore delle Dolomiti, c’è un piccolo paese che ha visto allenarsi grandi campioni mondiali di sci e tanti bambini che hanno imparato ad alzarsi dopo le prime cadute, come succede in una vera scuola, quella della vita.
Moena, a differenza di altre stazioni sciistiche in altri paesi, ha mantenuto il minor numero di contagiati Covid-19. Ne parliamo con Federico Salvagno, Allenatore Federale e maestro della Scuola Italiana Sci Moena Dolomiti, promoter Blizzard/Tecnica.
–Come si è riusciti a mantenere un basso numero di contagi Covid-19 a Moena?
In maniera direi auto-responsabile. Per arginare la diffusione del Coronavirus si è deciso nell’arco di poche ore di chiudere subito le stazioni sciistiche (10 marzo) e tutto quello che ci gira attorno, in comune accordo tra scuole di sci e associazioni di albergatori, in coordinamento con le autorità politiche competenti. Come si dice “sul filo del rasoio”; un giorno in più poteva portare a conseguenze quindi “contagi” molto più elevati, come è successo a Cortina o ad Ischgl in Austria. Moena dal canto suo, con la sua area sciistica tre valli (Alpe di Lusia e la Ski area San Pellegrino) con tante più seggiovie, si è così un pò salvata in termini di contagi, invece Canazei Alta Val Di Fassa è diventata zona rossa, essendo anche collegata con il Sellaronda. Dopo la repentina chiusura degli impianti sono state decise regole rigide, vietati gli spostamenti se non per necessità primarie, uscite di casa fino a 100 m di distanza, no alle escursioni e no allo sci alpino. E devo dire che tutti le rispettano! Forse la parola chiave è – rispetto delle regole- , quindi il restare a casa, l’unica soluzione.
–Per chi come te è abituato a toccare le cime delle montagne tutti i giorni, cosa vuol dire stare fermi?
Sicuramente trovarsi fermi in un batter d’occhio è stato davvero traumatico. Una vita la mia, come quella di molti altri che fanno il mio stesso lavoro, è caratterizzata dal rincorrere le lancette dell’orologio; mattina scuola di sci, pomeriggio allenamenti con il club, sere impegnate negli alberghi per dare servizio e informazioni varie, “ski room” per preparare gli sci dei ragazzi per le gare. Interrompere bruscamente tutto ciò mi ha dato modo di riflettere su quanto importante sia in questo momento metter da parte sogni e progetti, i nostri egoismi personali. Le montagne non vanno da nessuna parte, saranno sempre lì ad aspettarci. Ognuno di noi può fare la sua parte rispettando le regole restando a casa. Restare fermi mi porta a pensare che non siamo poi cosi invincibili e che il tempo non va sprecato perché è davvero troppo poco.
–Credi che il mondo fermandosi può riscoprire l’importanza del tempo?
Il mondo fermandosi credo abbia capito che ognuno di noi, preso singolarmente, può soccombere di fronte ad un nemico tanto piccolo da essere invisibile. Ci fa capire che abbiamo dei limiti e accettarli. Limiti alla propria libertà per proteggere gli altri dal contagio. Talvolta è necessario fermarsi. Noi uomini “moderni” armati di telefonini pensiamo di dominare il mondo, commentiamo tutto, abbiamo ricette per ogni problema, dove “io” è la parola che conta. Ma non è cosi, questa volta non funziona.
-Ti mancano i ragazzi?
Mi mancano, e soprattutto lo sport che noi gli offriamo. Credo che ora, fermandoci, abbiamo tempo di pensare e di ritornare a progettare “lo sport” che aiuta a crescere e formare nuove generazioni. È difficile da mettere in pratica, ma abbandonare la logica del risultato immediato per intraprendere la strada dell’amore per lo sport, è la strada giusta.
