Covid-19, intervista al dr Nicola Botta, Psicologo e Psicoterapeuta
Tempi di Covid-19, tante domande a cui cercare di dare risposte. Lo facciamo con il dr Nicola Botta, Dirigente Sanitario Asl di Salerno, Psicologo, Psicoterapeuta.
-Per il Covid19 è stato chiesto ai cittadini non di imbracciare fucili e scendere in trincea, ma di stare a casa ad aspettare che la situazione migliori, evitando contagi. Perché questo messaggio è stato recepito con grande difficoltà da parte della popolazione?
“Secondo il mio modesto parere, la causa è da porsi nell’eccesso di comunicazione tipica della nostra società. La comunicazione sulla vicenda covid-19, è cresciuta in modo pandemico o “virale” a scapito della qualità, difatti è stata definita infodemia. La sovrabbondanza di informazioni ha creato una progressiva delegittimazione delle fonti, permettendo il dilagare delle più assurde ipotesi e teorie che, nell’impossibilità di controllo da parte delle autorità, si pongono allo stesso livello di ogni altra notizia. Questo comporta che la potenza comunicativa, ad esempio delle fake news, prive di ogni fondamento scientifico, assumano pari dignità di una fonte legittima e specializzata, seminando scoramento e confusione. Purtroppo quando in un individuo, le certezze cedono il posto alle credenze, si può assistere al suo crollo psicologico, all’aggrapparsi anche a convinzioni che rasentano il delirio collettivo (paura dei cinesi e del complotto) o attivazione di comportamenti sganciati da ogni regola di buon senso (fuga dal nord, assalto ai treni, bene di consumo, ecc.). Tutto questo comporta, inevitabilmente, che l’iniziale e fisiologica paura di ammalarsi, si trasformi dapprima in panico individuale e poi in quello collettivo, gettando le basi per il crollo delle più elementari regole di buon senso. In poche parole cambiare abitudini, trasformare la propria vita per molte persone è difficile, se non impossibile. Un po’ come ci racconta Esopo nella sua favola della rana e lo scorpione, perfetta metafora sull’impossibilità a cambiare… E si sa, tutto ciò che non si conosce, un po’ ci spaventa, perché è meglio trovarsi davanti al peggior nemico conosciuto, che davanti a un avversario ignoto. In questo caso, più che il coronavirus, gli sconosciuti siamo noi stessi.”
-Non riusciamo più a stare a casa?
“Paradossalmente l’invito a restare a casa, a mio avviso il comportamento più saggio da osservare, è stato, almeno in una prima fase della crisi, quello maggiormente disatteso. Provo a spiegarne alcuni motivi. Uno di questi è indiscutibilmente legato alla non visibilità dell’agente virale, di origine misconosciuta e dalla sintomatologia confusa con altre banali patologie dell’apparato respiratorio. Almeno questo è il messaggio che gli “esperti” hanno fatto passare, nel corso delle prime interviste. Un nemico dunque invisibile ma poco dannoso, i cui effetti descritti come sopportabili, hanno fatto scattare, in moltissime persone, un’inconscia sensazione di auto indulgenza, spingendoli a continuare la stessa vita di sempre, sulla scorta di banali interrogativi, forse rassicuranti, ma per niente validi: perché dovrei ammalarmi? Perché devo essere io a sacrificare la mia libertà personale? Per chi?”. Un altro motivo risiede nel fatto che le persone sono portate a prendere in considerazione le affermazioni che in qualche modo rendano legittime le loro decisioni (o bias), in piena aderenza con la teoria della reattanza elaborata dallo psicologo Jack Brehm. In estrema sintesi tale teoria afferma che più un comportamento è proibito o limitato, più siamo portati a trasgredire, per affermare la nostra libertà decisionale. La reattanza è uno stimolo motivazionale, inconsapevole, che s’innesca quando percepiamo che la nostra libertà d’azione è delimitata o minacciata. Ciò che è proibito diventa ancora più desiderabile. Secondo molti studiosi la reattanza psicologica non è dettata da capricci, spirito di contraddizione o frutto di mediazione cognitiva; essa è una risposta diretta, non pensata, che si nutre di un’irragionevole e inconscia forza attuatrice, che spinge i soggetti a mettere in atto quei comportamenti proibiti, anche a costo di nuocere alla propria salute e a quella degli altri”.
-Non abbiamo nulla da condividere tra le mura domestiche? Come vivere questo periodo?
“In questo particolare momento, stiamo vivendo una situazione che sta mettendo a dura prova le già vacillanti certezze economiche, sociali e psicologiche, che permettono ai più, con diversi gradi di speranza, di progettare il futuro e di tenere sotto controllo onnipresenti tratti di aggressività sia individuali, sia collettivi finalizzandoli verso forme più nobili: gli amici, gli affetti, la vita sociale con tutti i suoi riti. Eros e Thanatos, affermava Freud, sono due istanze in agone continuo; l’evoluzione civile è un costante impegno volto a impedire alla seconda di mandare in rovina la società, che nasce dalla tendenza aggregativa della prima. Anche in molte famiglie si vive la stessa conflittualità. Non dimentichiamo che in questo preciso momento, molte donne sono costrette a subire le violenze domestiche senza avere la possibilità di denunciare il coniuge o di evadere da un contesto patologico e violento. Aggiungo che il trauma dello stress psicologico, vissuto dalle madri, ha delle ripercussioni anche sui figli. L’amore per i propri cari, il prendersi cura in modo compassionevole dell’altro, dovrebbe essere il primo precetto da osservare, sempre, ma in modo particolare durante questo periodo di crisi; così facendo, sublimiamo l’aggressività e gli egoismi, che onnipresenti di fronte ai pericoli e alle incertezze (migliaia di denunce per inosservanze delle norme anti-contagio), ci inducono a comportamenti irrazionali e poco salutari. È la maniera più nobile per ringraziare chi, in questo momento, lotta tra la vita e la morte, perché è rimasto al suo posto, a fare il suo dovere, adempiendo la sua missione e non vilmente è scappato”.
-Cosa è scattato in coloro che, incoscientemente, hanno preferito prendere treni che dal Nord li riportassero al Sud, incuranti dei rischi di contagio per se stessi e per gli altri?
“La scarsa aderenza a comportamenti virtuosi nei momenti di crisi è legata all’effetto destrutturante del panico dilagante, rinforzato da una miriade di notizie “virali” sul corpo sociale, anziché al suo coinvolgimento nelle azioni di contenimento del contagio. Il contagio sociale del “panico” corre più veloce del covid-19, che ha pur sempre bisogno di una vicinanza fisica per passare da un ospite all’altro. In altre parole il virus corre sulle gambe delle persone, il panico corre sulle chat. La pressante percezione di una crisi incombente, disgrega le organizzazioni sociali e le sostituisce con una folla incapace di seguire decisioni finalizzate. Ogni singolo individuo agisce solo per la propria difesa, mettendo da parte le raccomandazioni della comunità scientifica e delle autorità. La folla, sosteneva G. Le Bon, non è necessariamente un numero immenso di persone riunite nello stesso luogo, ma è piuttosto uno stato d’animo comune, è un momento in cui il singolo si disfa della sua particolarità per fare proprie caratteristiche nuove che lo rendono partecipe di un’anima collettiva. L’intelligenza individuale si perde immediatamente nella folla e, cosa da non sottovalutare, ogni intelligenza si abbassa ad un grado intellettivo minore. La manifestazione limite di questo assunto, è rappresentata proprio dalla massiccia fuga dal Nord, percepito come luogo insicuro, verso il Sud visto come luogo immune da contagio, ottenendo lo spiacevole risultato di contagiare tantissime altre persone e di ritrovarsi, alla fine, in un ambiente allo stesso modo pericoloso. A tale proposito, è stato lungimirante il presidente della nostra Regione Campania, on. De Luca che da conoscitore dei comportamenti sociali, ha preteso, primo tra i governatori, una stretta sugli arrivi dal Nord e un maggior rigore sugli spostamenti tra comuni, proprio per evitare il diffondere del contagio, legato a comportamenti tipici dei momenti di crisi”.
-Come superare l’ansia e la depressione che può emergere innanzi a tanta morte che avanza?
“In linea teorica, l’ansia di fronte ad una minaccia percepita è assolutamente una risposta fisiologica da accettare, senza lasciarsi spaventare. Ovviamente va gestita affinché non raggiunga livelli insostenibili, tanto da suscitare grave sofferenza psicologica. In tal caso bisogna rivolgersi ai servizi territoriali di Salute Mentale dell’Asl Salerno, dove sono presenti operatori sanitari specialisti preparati e sempre disponibili, che stanno offrendo costantemente prestazioni per ogni emergenza psichiatrica e costante servizio di ascolto psicologico per tutta la popolazione di rifermento. Nei casi meno gravi, senza avere la pretesa di fare una trattazione sui metodi per gestire l’ansia, un consiglio semplice ed efficace ai lettori del suo giornale, va dato: se iniziate a sentirvi ansiosi, mettetevi comodi e provate a respirare lentamente, compiendo un’espirazione leggermente più lunga dell’inspirazione. Fate durare 4/5 secondi la fase inspiratoria e 5/6 secondi quella espiratoria, per almeno 3/5 minuti. Questo modo di respirare è in grado, con un po’ di pratica, di amplificare l’aritmia sinusale respiratoria, produrre coerenza tra diversi sistemi (cardiovascolare, baroriflesso) ed indurre il rilassamento a livello cerebrale. Ovviamente esistono anche tecniche di cardio feedback (PPG- STRESS FLOW), molto più sofisticate ed efficaci che sono una valida alternativa alla terapia farmacologica con ansiolitici. La depressione, che in questo particolare momento, va distinta dalla demoralizzazione e dalla tristezza, è un’attivazione emozionale tipica degli esseri umani. Il primo passo da compiere è quello di accettarla, senza vergogna e senza sentirsi fuori posto. Anche qui vale il consiglio di rivolgersi agli specialisti: la depressione è una diagnosi complessa, perché il quadro clinico va differenziato da tante altre patologie (tiroidite, malattie virali, autoimmuni, sindrome da stanchezza cronica, ecc.) che possono esordire in comorbidità. Nessuno si deve lasciar andare di fronte a tanta sofferenza o essere lasciato solo. Recentemente l’Asl di Salerno ha attivato un servizio di Primo Soccorso Psicologico per gli operatori impegnati in prima linea contro il Coronavirus”.
-Gli anziani hanno paura, come star loro vicini?
“In questo momento, paradossalmente, il modo più corretto di fornire aiuto agli anziani, è cercare di non contagiarli attraverso contatti sociali, in questo periodo, inutili (il parente che rientra dal nord) e sicuramente dannosi. Laddove fosse possibile, bisogna tenere in considerazione la possibilità di utilizzare telefoni, video chiamate, effettuate da parenti o da un apposito servizio che quotidianamente li contatti per accertarsi dello stato di salute. Una buona proposta, facile da attuare, potrebbe prevedere delle unità di soccorso infermieristico/psicologico domiciliare costituite da un infermiere e uno psicologo (cambiare medicazioni, praticare cure iniettive domiciliari, sostegno psicologico), che prenda in carico un certo numero di persone anziane, in un determinato quartiere o zona. Bisogna tenere in considerazione che molti anziani sono rimasti soli e fornire aiuto e sostegno è un dovere della società civile.”
-Come può vivere un paziente affetto da Coovid19 l’allontanamento da casa e la morte in piena solitudine?
“Rispondere a questa domanda mi provoca non poco turbamento! Il soggetto affetto da Covid-19 in genere è prelevato da un’ambulanza, saluta i suoi cari che da quel momento non rivedrà sino al momento del superamento della malattia! Si spera! La mancanza di respiro, la fame d’aria, il senso di ottundimento, creano sicuramente un senso di smarrimento. E’ sedato, intubato, isolato! È la solitudine nella solitudine. Morire con il Covid-19 stravolge anche tutta la ritualità legata della morte stessa. Per certi aspetti è la morte della morte, per come siamo stati abituati a concepirla. Nessuno che ti consola, che accompagna il feretro, che ti segue nell’ultimo viaggio. Salvatore Quasimodo ha efficacemente racchiuso nella sua “Ed subito sera” l’essenza di questo drammatico momento: ognuno sta solo sul cuor della terra, trafitto da un raggio di sole: ed è subito sera”.
-Come ci si deve porre coscientemente nei confronti della morte?
“Entriamo qui – con la sua domanda – ai confini di un ambito e in un territorio limite, particolarmente accidentato, che ovviamente travalica la stessa scienza. Comprenderà che è molto complesso – oltre che arduo – rispondere a questa che, da sempre, costituisce di fatto “la domanda” fondamentale, cruciale, connotante l’integrale svolgimento, le stesse finalità e il senso globale dell’intera esperienza umana. Dunque, al di là dalle possibili risposte e degli atteggiamenti, soggettivi e pertanto eterogenei, che innanzitutto scaturiscono dal vissuto e dalle scelte di vita, oltre che dai sistemi di riferimento, dalle convinzioni e dalle credenze, quella della morte si palesa come un’esperienza che in alcun modo può essere elusa, minimizzata, ignorata, obliata, come sembra accadere in buona parte della nostra contemporaneità. Con tutte le ripercussioni che sembrano derivarne. Può essere utile qui ricordare come nel pensiero greco, fondante di tutta la cultura occidentale, l’uomo, prima di essere “anthropos” è definito “brotos” per Omero e “thnetos” per Platone: è, cioè, essenzialmente il “mortale”, destinato a morire. Di là da ogni atteggiamento fatalistico o pessimistico, un confronto cosciente con la morte che implica una consapevolezza radicale, ossia la comprensione – e il necessario riconoscimento di un’evidenza – quella del limite. E l’eventuale recupero, l’assunzione e l’accettazione del limite, quale parametro e misura soggiacente la coscienza e l’intero agire può costituire -anche sul piano psicologico – un parametro referenziale e operativo assai fecondo, complessivamente e positivamente pervasivo, sul piano esistenziale. Secondo Freud, siamo portati a insistere sul carattere occasionale della morte: incidente, malattia, infezione, vecchiaia avanzata, dimostrando chiaramente la nostra tendenza a spogliare la morte di ogni carattere di necessità, a farne un avvenimento unicamente incidentale. Prendendomi la licenza di modificare un vecchio adagio si vis pacem, para bellum, potremmo scrivere si vis vitam, para mortem, ovvero – Se vuoi reggere il peso della vita, impara a convivere con l’idea della morte -.”
-I ragazzi nel momento della loro “primavera” di vita s’incontrano sui social e guardano questo mondo spento alla finestra. Come ridar loro la speranza?
“Mi rendo conto che in molti adolescenti la spinta ormonale e la paura del contagio, siano tra di loro incompatibili: la prima li vorrebbe fuori casa a sperimentarsi, a confrontarsi tra i pari, la seconda, al chiuso a proteggersi. Il solito dilemma adolescenziale da risolvere: sicurezza o autonomia? Ovviamente, le fragilità individuali, sono di certo accentuate dal clima costante d’insicurezza e di scarsa capacità di fare previsioni, tipica degli adolescenti. Se a questo aggiungiamo la gestione dei lutti senza conforto, che alcuni hanno dovuto subire, colpa del Covid-19 e comportamenti irrazionali di parenti prossimi o soggetti sconosciuti, per la perdita del nonno o nonna o genitore, punti di riferimento cari e insostituibili fonti di rassicurazione, guida e sostegno, le probabilità di scompenso psicologico sono concretamente presenti. Tuttavia a questo si può porre rimedio: in Italia l’offerta della salute psicologica, sia pubblica sia privata, è tra le migliori al mondo. In ogni caso, i ragazzi vanno assolutamente rassicurati. Il mondo tornerà presto a essere fonte di speranza e ispirazione! L’umanità è sempre riuscita a riprendersi dopo ogni grande calamità, sin dai tempi delle ultime ere glaciali (secondo alcuni studiosi il numero dei soggetti si ridusse a poche centinaia), delle ultime grandi calamità naturali, dei conflitti mondiali e dalle pandemie del secolo scorso. La vita e la voglia di vivere riescono sempre a trionfare”.
-Nonostante il dolore e le preoccupazioni del momento, nascono bambini, speranza del futuro… Come sostenere i genitori che si trovano a vivere questo lieto momento con il cuore gonfio di paura?
“Essere genitori è un compito, non un fatto. Si è genitori oggi, domani, sempre. Pertanto non credo che questo particolare momento sia pure difficile, possa nell’immediato futuro cancellare l’entusiasmo che si prova nel vedere il proprio bambino o bambina crescere, dare i primi passi o pronunciare le prime parole. Un buon consiglio è quello di restare focalizzati sul nascituro, nell’accudire i suoi bisogni senza lasciarsi prendere dallo sgomento o dalla disperazione. Un’attenzione particolare va fornita alle giovani madri. Potrebbero trovarsi in difficoltà a causa della “tristezza” post-partum, senza poter contare sul sostegno dei familiari più prossimi, costretti dall’emergenza coronavirus a restare a casa”.
Come vivremo il post Covid19? Cosa cambierà nella vita sociale, affettiva, nella nostra interiorità?
“La risposta più compiuta a questa domanda è racchiusa nelle riflessioni di David Grossman sul Covid-19, pubblicate il 21 marzo 2020 su la Repubblica. Lo scrittore israeliano è riuscito con poche righe, a trattare un’ampia gamma di temi esistenziali. Secondo Grossman, molti sottoporranno a un serrato esame il proprio stile di vita, le scelte finora fatte e quelle ancora in itinere. Alcuni potrebbero decidere cambiare radicalmente la propria vita, avere più coraggio, essere più autentici, faranno meno rinunce e riscopriranno il senso della vita. Il Covid-19 ci ha mostrato, ancora una volta, la nostra fragilità esistenziale e biologica. Fragilità che è inconsciamente combattuta, tanto da spingere Freud a scrivere: <<in fondo nessuno crede alla propria morte, o, il che è lo stesso, ciascuno è inconsciamente convinto della propria immortalità>>. L’uomo moderno si dibatte tra la negazione della malattia e della morte e l’irrazionale convinzione di essere capace di superare ogni difficoltà. La pandemia ci ha di nuovo riportato con i piedi per terra. Semplicemente non bisogna mai e poi mai fare i conti senza l’oste (virus, crisi economica, malattia, incidente…)!