I cambiamenti climatici al tempo del Coronavirus
Problemi interconnessi, sostengono esperti ambientalisti e scienziati- di Vincenzo Iommazzo-
Nell’opinione pubblica ambientalista e non solo, comincia a farsi strada una domanda: “E’ possibile che cambiamenti climatici ed epidemie siano fenomeni interconnessi?”. Risponde la piemontese Grazia Francescato, storica esperta di questioni ambientali, già presidente del WWF Italia e portavoce per la seconda volta dal 2008 dei Verdi Europei. Spiega che “Già tredici anni fa, in un rapporto del 2007, l’Organizzazione Mondiale della Sanità aveva avvertito che le infezioni virali, batteriche o da parassiti sarebbero state una delle minacce più consistenti per il Pianeta proprio a causa dei cambiamenti climatici”. Eppure, commenta Francescato, “le grida d’allarme degli scienziati hanno continuato a risuonare quasi sempre inascoltate. Oggi però non possiamo più permetterci di non tenerne conto, ne va della nostra salute, oltre che dell’equilibrio della Terra”.
Non si può dire con certezza, per ora, quale tipo di legame ci sia tra i due fenomeni: sappiamo ancora poco di questo virus e saranno gli scienziati a spiegarci cause e modalità di contagio. Ma che ci sia una interconnessione tra cambiamento climatico e diffusione delle malattie infettive non è certo un mistero: lo affermano da anni gli ambientalisti e decine di rapporti di esperti e di istituzioni internazionali. Recentemente Giuseppe Miserotti, membro dell’Associazione Medici per l’Ambiente (ISDE), ha evidenziato come i picchi delle epidemie diventate più famose, come per esempio SARS e influenza Aviaria nel 2003, poi l’influenza Suina nel 2009, si siano verificati in corrispondenza di innalzamenti di temperature di almeno 0,6 o 0,7 gradi oltre la media. Viste le temperature elevate degli ultimi periodi non c’è da stare sereni.
Anche quando questa epidemia sarà passata non saremo comunque al sicuro, sottolinea Miserotti: “In circolazione non c’è soltanto il coronavirus, ci sono miliardi di agenti patogeni pericolosi. Le variazioni di temperatura, umidità e condizioni del suolo potrebbero favorire un ‘salto di specie‘, il cosiddetto spillover, spingendo i virus che oggi sono già in circolazione, ma che sono per la maggior parte ‘ospiti’ di animali in una sorta di convivenza pacifica, ad attaccare altre specie, tra cui noi esseri umani, con un’aggressività e ad una velocità mai verificatesi nella storia”.
In questi giorni stiamo sperimentando sulla nostra pelle che siamo tutti interdipendenti e interconnessi: allo stesso modo potrebbe essere sensato affrontare l’emergenza epidemiologica in collegamento con quella climatica, entrambi fenomeni che non conoscono confini di spazio e di tempo. E’ pur vero che si registra una diversa percezione dei rischi: quello connesso al clima sembra essere molto lontano e ad esso non viene attribuita l’importanza che si attribuisce ad altre emergenze sicuramente, comunque, da trattare con maggiore urgenza. Ma il climate change, al pari di un killer silenzioso, sta danneggiando la salute di un considerevole numero di abitanti del pianeta. Lo sostengono, tra gli altri, i medici statunitensi del Medical Society Consortium fornendo dati in merito. I pediatri Usa, per esempio, hanno rilevato un aumento del 123% delle malattie infantili dal 1997 al 2000 a causa delle ondate di calore. 4,5 milioni di persone ogni anno scompaiono per disturbi e malattie dovute ai combustibili fossili, i maggiori responsabili delle emissioni dei nocivi gas serra (CO2 in testa).
Si aggiunge che, a detta di molti esperti, le stesse epidemie a cui stiamo assistendo in questi anni (Sars, Zika, Ebola, Aids, Covid-19) sarebbero una diretta conseguenza dei nostri danni al pianeta. Urbanizzazione, deforestazione, allevamenti intensivi e monocolture, tutte attività umane che impongono grandi modifiche all’ambiente, starebbero infatti abbattendo le difese naturali degli ecosistemi, favorendo così la proliferazione di nuovi virus.
Come possiamo prepararci ad affrontare le sfide del futuro in ambito ambientale? Sempre la Francescato suggerisce che ”La prima cosa da fare è riorganizzare il nostro sistema sanitario per non trovarci più impreparati, aumentare gli investimenti, il numero degli addetti e curare in modo approfondito la loro formazione. Poi, dobbiamo convincerci a rivedere in modo radicale l’attuale modello di produzione e di sviluppo, che è insostenibile, perché stiamo distruggendo la biodiversità del pianeta e sfruttando in modo selvaggio le risorse naturali; ma è inaccettabile anche a livello sociale, perché questo tipo di globalizzazione ha causato una disuguaglianza economica mai vista prima permettendo a una decina di persone al mondo di disporre di più risorse economiche della metà dell’intera umanità. Insomma, si tratta di promuovere quella che gli ambientalisti chiamano conversione ecologica dell’economia e della società, che vuol dire anche fare un salto culturale, creare una nuova coscienza collettiva”.
“In conclusione converrebbe ricordare il primo significativo comandamento dell’ecologia “Tout Se Tient”. Ovvero, ogni cosa è collegata a tutte le altre. Se oggi non mettiamo in pista strumenti efficaci per fermare il surriscaldamento globale, in futuro potrebbero presentarsi malattie anche peggiori. Le variazioni di temperatura potrebbero favorire il salto di specie di virus e batteri già in circolazione o risvegliare quelli che da migliaia di anni vivono congelati nel permafrost, il terreno perennemente ghiacciato tipico delle regioni dell’estremo Nordeuropa, della Siberia e dell’America settentrionale”.
