Il Festival degli Italiani: Sanremo siamo noi
Tv – di Francesco Fiorillo-
Si è chiuso il sipario sulla 70esima edizione di Sanremo, l’ennesimo trionfo di un’istituzione che con la musica ha sempre meno a che fare
Anche quest’anno, il Festival di Sanremo è arrivato e passato velocemente, come un soffio di vento.
Come a scandire il tempo che passa inesorabile, la kermesse giunge sempre all’improvviso, inattesa.
E’ già passato un anno? Sembra incredibile, ma è così. Questa è la magia del Festival: un appuntamento fisso che dimentichiamo di avere, ma che ci riempie di eccitazione quando lo ricordiamo.
Il circo delle meraviglie è tornato in città: ancora una volta il palco dell’Ariston ci ha regalato nuove canzoni, nuovi ospiti, costumi sgargianti, acrobazie, polemiche e gaffe. E non importa quanto lo si possa criticare: il Festival sarà sempre un successo, perché persino i suoi detrattori amano odiarlo. Sanremo siamo noi: con la nostra voglia di guardare e criticare, di restare incantati e di ridicolizzare chi si mette in mostra.
Questa 70esima edizione non è stata da meno: fra le dichiarazioni sessiste (strumentalizzate?) di Amadeus sul ruolo della donna “a un passo indietro”, le polemiche sull’eccessiva parlantina di Fiorello (#Fiorellostattezitto), la squalifica improvvisa di Morgan e Bugo, e l’incidente “sexy” di Elettra Lamborghini, la kermesse è stata un grande trionfo. Con 11,4 milioni per la finale, lo show si è conquistato lo share più alto dal 2002.
Perché la forza di Sanremo è quella di essere contemporaneamente un’istituzione colta, elegante e raffinata (le ricche scenografie, la straordinaria orchestra e l’atmosfera da “serata di gala”) e un’icona del trash più sfrenato e goliardico (le immancabili figuracce, le forme femminili in bella mostra, i costumi sopra le righe, le battute volgari): qualcosa di familiare, in cui ci riconosciamo.
Uno specchio della nostra “italianità”.
Ma il Festival non è stato sempre così: nel tempo, si è adattato ai nostri gusti, cambiando forma continuamente, fino ad assumere l’aspetto che ha adesso. Da manifestazione incentrata sulla musica e la professionalità dei conduttori, lo show si è gradualmente trasformato in uno spettacolo di intrattenimento, un varietà in cui la musica è un elemento di contorno, quasi un semplice intervallo fra il monologo del mattatore di turno e il balletto di una soubrette.
Mai come in questa edizione la musica vera e propria è stata così poco rilevante. A dominare lo spettacolo sono stati i siparietti e le coreografie, gli interventi dell’esuberante Fiorello, vero e proprio co-conduttore accanto ad un Amadeus ridotto a spalla, e le trovate teatrali (i costumi di Achille Lauro, la finta caduta dalle scale di Ghali, l’abbandono del palco di Bugo). Persino le canzoni appaiono spogliate della loro melodia, dominate da testi “parlati” più che cantati, e arrangiamenti prevedibili.
Certo, in questo Festival non sono mancati i riferimenti alla tradizione (gli omaggi a Fabrizio Frizzi, Alberto Sordi e Mike Bongiorno, il ritorno di Rita Pavone e dei Ricchi e Poveri), ma le cose sono ormai cambiate: Sanremo segue lo spirito dei tempi, e diventa puro intrattenimento. Il pubblico televisivo che apprezza la musica è sempre più ridotto: la maggior parte degli spettatori vuole solo divertirsi, sentirsi parte di qualcosa. Vivere l’eccitazione della competizione e la suspense di conoscere il vincitore. Dire la sua sulla polemica del giorno.
E’ un male? Non necessariamente: questa è la tv moderna, e Sanremo non fa altro che prenderne atto. Dove andrà il Festival, o quale incarnazione assumerà nel futuro, non ci è possibile saperlo. Quello di cui possiamo essere certi è che tornerà ancora, a ricordarci che un altro anno è passato: lo spettacolo continua, la musica (forse) lo seguirà.