Gaia e Camilla. Le sanzioni non sono un deterrente.

A 4 anni dall’introduzione del reato di omicidio stradale, muoiono in media 8 persone al giorno- di Irene La Mendola*

La tragica morte verificatasi a Corso Francia, a Roma, scalda la rete e fa riflettere sulle tantissime perdite di vite umane, come conseguenza di incaute condotte al volante e non solo. Perdite che si potevano evitare, probabilmente con una maggiore prudenza e una migliore educazione alle regole sociali poste a garanzia della sicurezza individuale.

I reati di omicidio stradale (art. 589-bis) e lesioni stradali gravi e gravissime (art. 590-bis) sono stati introdotti nel codice penale con la  Legge n. 41/2016 voluta dal governo Renzi, entrata in vigore in data 25 marzo 2016, che prevede un trattamento sanzionatorio di maggiore rigore rispetto al precedente quadro normativo.

Prima di questa legge, l’omicidio stradale veniva sanzionato ai sensi dell’art. 589 del codice penale (omicidio colposo) che prevede una pena edittale di base da 6 mesi a 5 anni, con l’aggravante della violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale e con previsione della pena della  reclusione da 3 a 10 anni se il fatto veniva commesso da soggetto con tasso alcolemico superiore a 1,5 grammi per litro g/l o da soggetto sotto l’effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope.

A decorrere dal 25 marzo 2016, invece, la pena base per l’omicidio stradale va da 2 a 7 e anni e varia da 5 a 10 anni nel caso in cui la morte sia stata cagionata da soggetto in stato di ebbrezza alcolica con tasso alcolemico superiore a 0,8 e non superiore a 1,5 grammi per litro g/l. Alla stessa pena soggiace chi ha cagionato la morte in eccesso di velocità (secondo determinati indicatori), guida contromano, passaggio col rosso agli incroci, inversione del senso di marcia marcia su intersezioni, curve e dossi e in alcuni tipologie di sorpasso.

Carcere da 8 a 12 anni in caso di soggetto con tasso alcolemico superiore a 1,5 grammi per litro g/l o di soggetto sotto l’effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope e pene fino ad un massimo di 18 anni nel caso di morte di più persone.

In Internet si leggono molteplici versioni della vicenda che ha coinvolto le due adolescenti romane, tra cui quella che le stesse sarebbero state investite più volte, anche da altri automobilisti sopraggiunti, versione che al momento sarebbe stata esclusa dall’autopsia. In questo caso potrebbe ricorrere l’ipotesi di cui al comma 7 dell’art. 589-bis che prevede una diminuzione della pena fino alla metà qualora l’evento non sia esclusiva conseguenza dell’azione o dell’omissione del colpevole.

Inoltre, il responsabile potrebbe accedere al rito abbreviato beneficiando della riduzione di 1/3 della pena. Il responsabile potrebbe, infine, beneficiare della sospensione condizionale della pena, qualora ne ricorrano i presupposti e qualora la personalità del “reo” sia valutata positivamente dal giudice di merito in termini prognostici.

La normativa in parola è stata ampiamente criticata dagli esperti in materia, perché troppo frettolosa e a rischio di subire declaratorie di incostituzionalità. Ciò che conforta è, comunque, il rispetto del principio costituzionale di responsabilità “per colpa”, con la conseguenza che nessuno può essere punito nel caso in cui la morte di un individuo non sia la conseguenza della sua azione (o della sua omissione). Nell’attuale assetto normativo, sembrerebbe ancora possibile escludere la responsabilità del guidatore che, pur avendo disatteso le norme sulla disciplina della circolazione stradale, non abbia comunque causato la morte di un altro individuo (si pensi, ad esempio, al pedone suicida).

Lo scorso 30 dicembre 2019 la Cassazione con la sentenza n. 52071 è tornata a individuare le responsabilità dell’automobilista in caso di omicidio stradale e – pur applicando le vecchie regole perché più favorevoli al colpevole, visto che il fatto era antecedente alla entrata in vigore della nuova normativa – i principi sono sempre gli stessi. Chi guida deve prevedere tutte le situazioni che la comune esperienza contempla, ed anche  il probabile attraversamento dei pedoni nei centri urbani, anche se improvviso.Quanto al concorso di colpa, la responsabilità del conducente può essere in parte esclusa nel caso in cui la condotta di terzi o della vittima stessa abbia influito nella determinazione dell’evento.Questi principi sono rimasti immutati anche con l’entrata in vigore delle richiamate fattispecie di reato.

Inutile osservare che il conducente deve sempre mettersi alla guida in perfette condizioni psico-fisiche per poter controllare al meglio il veicolo e prevedere … ciò che è prevedibile!

Ma nei noti casi di cronaca in cui facciamo un passo indietro lasciando alla giustizia la corretta ricostruzione dei fatti, ci si chiede almeno come evitare simili sciagure, al di là del generico invito alla prudenza.

Il deterrente non può essere costituito unicamente dalla conoscenza del severo sistema sanzionatorio previsto dalla legislazione in materia, né possiamo pensare che sia sufficiente saper distinguere ciò che è giusto da ciò che è sbagliato perché, ad esempio, la giovane età subisce ineluttabilmente il fascino di alcuni modelli comportamentali che insegnano a trasgredire e a deviare.

E allora, questa buia e angosciante pagina di cronaca può farci riflettere sulla importanza di modificare alcuni modelli di riferimento che risultano seducenti in via privilegiata per caratteri in fase di formazione, in cerca di conferme del proprio valore. Del resto, anche nel marketing, una automobile dall’aspetto aggressivo si vende meglio perché suggerisce il concetto di velocità e di forza. Questo modello ha un enorme impatto e un potente effetto condizionante, anche a livello subliminale.

E  invece, il modello di forza non è univoco e può essere suggerito anche attraverso il senso di consapevolezza dei propri desideri e di padronanza dei propri limiti, nella sfera individuale (si pensi a Beviresponsabile.it, la campagna voluta da Assobirra). Ma anche nella dimensione sociale della persona, promuovendo la conoscenza e il rispetto delle leggi, non come vuota e astratta imposizione, ma come traduzione di un meccanismo che rende pacifica la convivenza tra tutti e che rende gli individui responsabili e consapevoli e, per questo, coraggiosi e liberi.

*Irene La Mendola, avvocato.

Irene La Mendola

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