Ricordando Nannarella

46 anni senza Anna Magnani di Francesco Fiorillo-

Sono passati più di quarant’anni dalla sua scomparsa, eppure Anna Magnani resta scolpita in modo indelebile nella memoria di ogni italiano. Il cuore si spezza ancora rivedendola correre e urlare “Francesco! Francesco!” in Roma Città Aperta, prima di cadere sotto il fuoco dei mitra nazisti; e il sangue continua a gelarsi nelle vene davanti al suo sguardo disperato verso la periferia romana, nel finale di Mamma Roma.

Il 26 settembre 1973 si spegneva nella Capitale un’attrice e diva straordinaria, che attrice e diva non era. Non recitava infatti Anna, ma viveva semplicemente i suoi personaggi, dando voce alle loro emozioni con passione e ironia; e diva non lo era di certo, nonostante le numerose onorificenze ricevute (ad esempio, nel 1956 è la prima interprete italiana nella storia a vincere un Oscar come “migliore attrice protagonista”): rigettando cliché e pose, incarnò per tutta la vita la figura della popolana sfrontata e concreta, ma anche appassionata e generosa.

<<Essere la Magnani me diverte da morì>>, disse ad Oriana Fallaci, <<e gongolo tutta se la gente mi riconosce per strada, se il vigile urbano mi dice, continuando a dirigere il traffico, “Ciao Nannaré!”>>.

Non nacque ad Alessandria d’Egitto, come si affermò per diverso tempo, ma nella sua Roma, il 7 marzo del 1908, e fin dall’inizio la sua fu la vita di una donna del popolo. Non conobbe mai suo padre, e la madre la affidò alle cure della nonna e delle zie poco dopo averla messa alla luce. Crebbe nei quartieri poveri romani e, dopo aver studiato musica, si dedicò prima al teatro poi alla rivista, dove ottenne successo con una serie di spettacoli al fianco di Totò.

Il suo debutto cinematografico fu nel 1934 con La cieca di Sorrento di Nunzio Malasomma, ma il mondo scoprì davvero il suo talento nel 1945 grazie al capolavoro Roma Città Aperta di Roberto Rossellini. Il ricordo dell’occupazione tedesca era ancora molto vivido negli italiani, e Nannarella riuscì a incarnare nella sua straordinaria interpretazione della “Sora Pina” tutte le sofferenze e le speranze dell’Italia del dopoguerra.

Il film di Rossellini (con il quale ebbe una turbolenta relazione) spalancò per Anna le porte del successo; pellicole come L’onorevole Angelina, Bellissima e Mamma Roma la consacrarono definitivamente come un talento unico e inconfondibile, premiato in Italia e all’estero. Ma il successo non cambiò mai la sua natura di anti-diva: quando vinse l’Oscar per la sua interpretazione ne La rosa tatuata, non presenziò alla cerimonia; venne a sapere di aver vinto il premio solo grazie ad una telefonata ricevuta alle cinque del mattino, nella sua casa di Roma, da un giornalista americano.

Verso la fine della sua carriera, lavorò anche per la televisione in un ciclo di film. Il suo ultimo lavoro (Correva l’anno di grazia 1870), per una tragica coincidenza, venne trasmesso poche ore dopo la sua scomparsa, come se neanche la morte potesse spegnere la sua stella.

Nannarella era malata; morì alla clinica Mater Dei, assistita fino all’ultimo dagli uomini della sua vita: l’amato figlio Luca, Roberto Rossellini e il marito Goffredo Alessandrini.

La sua ultima apparizione cinematografica fu nel film Roma, di Federico Fellini, che la volle fortemente per un cameo. E’ una scena brevissima, ma racchiude in sé tutta la carica ironica e dolente di Anna, un ultimo addio divertito e malinconico. La vediamo passeggiare di notte, all’ombra degli antichi palazzi della Capitale. Sulla soglia di casa, la voce fuori campo del regista la presenta come il simbolo della città. Lei lo deride (<<Che so’ io?? De che?? A Federì, ma va’ a dormì, va!!>>) e, alla richiesta del regista di rispondere ad una domanda, lei replica sorniona: <<No nun me fido…ciao, bonanotte!>>. Chiude il portone, la città piomba nel silenzio e noi capiamo che se n’è andata davvero.

Buonanotte, Nannarella.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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