La Traslazione delle Reliquie di San Matteo: Storie e Leggende
Tra le molteplici leggende e storie, per lo più di epoca medioevale, che mescolano elementi reali ad invenzioni fantastiche e che hanno come quinta scenica la città di Salerno, con principi, medici, briganti e santi come protagonisti, una sembra essere particolarmente affascinante: quella legata alla traslazione delle Sante reliquie di San Matteo nel Capoluogo. Morto in Etiopia, le sue spoglie furono trasportate, dopo svariate vicissitudini, nel Cilento a Velia (la greca Elea) e rimasero per più di 500 anni sepolte nei pressi della città eleatica, sotto una lastra di marmo non lontano da alcune terme romane. La leggenda vuole che nell’anno 954 d.c. una donna di nome Pelagia, abitante di Velia, sognasse San Matteo e che a lei l’Evangelista indicasse il luogo ormai abbandonato della sua sepoltura, voluta, anni addietro, da alcuni mercanti della zona, sollecitandola a esumare le spoglie con l’aiuto del figlio. Il Santo venne in sogno più volte, non solo alla pia donna, ma anche al figlio, il monaco Atanasio, il quale si mosse prontamente, alla ricerca del sacro corpo nei pressi del fiume Alento, come il Santo aveva ben descritto. Ritrovato il corpo e avvolto in un bianco lenzuolo, il monaco era intenzionato di trasportare la salma a Costantinopoli ma, giunto al porto di Amalfi per imbarcarsi, fu prontamente frenato, per ben due volte, a causa di improvvisi temporali. Il monaco nascose le reliquie in una chiesa non lontana dalla sua cella, la quale era situata in località “ad duo flumina” nei pressi di Casal Velino. All’interno della chiesa è a tutt’oggi presente l’Arcosolio (monumento funebre costituito da un sarcofago sormontato da una nicchia ad arco a tutto sesto) sotto il quale è posizionata una lapide del XVIII secolo a testimonianza dell’evento della traslazione del Santo da Casal velino a Salerno, e una copia della stessa si trova all’ingresso della cripta del Duomo di Salerno. Intanto, appresa la notizia del ritrovamento del sacro corpo, il vescovo della Diocesi Pestana, Giovanni, prelevò il corpo e lo depose in un’arca sigillata dall’impronta del suo anello. Ma il monaco Atanasio, interessato probabilmente a commercializzare le spoglie di San Matteo, tentò di entrare, attraverso una finestra, nella chiesa in cui l’arca era stata depositata. Il tentativo fallì fortunatamente grazie all’intervento degli altri religiosi risvegliati dai rumori causati durante il sequestro. Dopo poco iniziò il trasporto delle reliquie verso Capaccio, ma durante l’attraversamento del torrente Malla, il prete che trasportava l’arca, un certo Pietro, si ritrovò improvvisamente sommerso dall’acqua. Aiutato a uscirne, ci si rese subito conto che il lenzuolo che avvolgeva San Matteo era asciutto. Inoltre, poco prima di giungere a Capaccio, durante una sosta in località Rutino, i portatori stremati dalla sete furono sorpresi dall’improvvisa, miracolosa e provvidenziale comparsa di una sorgente d’acqua che fu successivamente denominata di “San Matteo”. Il corpo giunse finalmente nella Cattedrale di Capaccio, l’attuale Santuario diocesano della Madonna del Granato. Intanto la straordinaria notizia del sacro ritrovamento giunse anche a Salerno, capitale del Principato longobardo, dominato allora da Gisulfo I. Il Vescovo di Salerno, Bernardo II, precipitatosi a Capaccio ordinò che il corpo fosse trasportato a Salerno, per metterlo in sicurezza e preservarlo delle innumerevoli incursioni saracene presenti in quell’area. Il 6 Maggio del 954 d.c., le Reliquie giunsero a Salerno.
Le sacre spoglie furono nascoste in un’aula Santae Dei Genitricis, che era in quel periodo la Cattedrale di Salerno, e riscoperte successivamente durante la costruzione della nuova Cattedrale (ideata dal Vescovo Alfano I) voluta dal duca normanno Roberto il Guiscardo subito dopo la conquista della città nel 1077 d.c.. L’Evangelista riposa nella cripta della Cattedrale trasformata agli inizi del XVII secolo, secondo i canoni dell’architettura barocca, da Domenico Fontana e dal figlio Giulio Cesare, con uno splendido rivestimento di mari intarsiati.
Al centro della cripta è situata la tomba del Santo protettore di Salerno, lì dove era stata trovata da Alfano I: a 283 centimetri sotto il pavimento della cripta. Il Fontana volle realizzare una sorta di balaustra in marmo che circonda il sacro sepolcro. All’interno di esso si realizzarono due altari uguali detti “bifronte”. Da essi, inoltre, diparte un elegante baldacchino ricco di marmi policromi sorretto da quattro pilastri laterali. Il progettista, in realtà, volle creare la stessa visione del sepolcreto sia dall’ingresso alla Cattedrale, mediante uno scalone marmoreo, che da un altro ulteriore ingresso, direttamente dall’esterno della cripta.
Due statue di bronzo raffiguranti San Matteo, realizzate da Michelangelo Naccherino, arricchiscono ulteriormente il baldacchino, mentre nella sua parte alta lo stemma, ripetuto due volte, dei Reali di Spagna viene sorretto da due puttini. Nel 1969, durante alcuni lavori di restauro della cripta, il pavimento e l’altare settentrionale furono portati a livello della tomba dell’Evangelista, alterando il disegno armonico originario del Fontana. (le foto sono dell’architetto Daniele Magliano)
