ISPRA: prevenire lo spreco alimentare è possibile
Preferenza a filiere corte e produzioni locali biologiche- di Vincenzo Iommazzo-
Mentre sembra che, sia pur lentamente, stia aumentando la sensibilità dei cittadini verso l’abbandono di alcune insane abitudini, quali per esempio gli sversamenti diretti di rifiuti di ogni genere in terra e in mare (plastica in primis) o l’uso irrazionale di fonti energetiche e idriche, non accenna ad essere correttamente inquadrato il fenomeno dello spreco alimentare. Eppure sarebbe quello più immediatamente evidente ed affrontabile, dal momento che quotidianamente ciascuno si misura con il consumo di cibo in tutte le sue forme.
Di fatto, lo spreco alimentare può essere associato ad una vera e propria incoerenza, in quanto da un lato si investe nell’incremento della produzione per soddisfare le necessità di una popolazione mondiale crescente, dall’altro si dissipa oltre un terzo del cibo prodotto, di cui quasi l’ottanta per cento ancora consumabile. Con gli alimenti buttati via vengono sprecati anche la terra, l’acqua e i fertilizzanti che sono stati necessari per la loro produzione, senza contare le emissioni di gas serra liberate nell’atmosfera.
Nella progredita Europa si sprecano in media 180 kg di cibo pro-capite/anno, il 42% a livello domestico. Uno dei Paesi con maggiore spreco è sorprendentemente l’Olanda con i suoi 579 kg pro-capite/anno, quello più virtuoso è la Grecia con 44 kg.
L’Italia si trova all’incirca a metà strada tra questi due estremi, con 149 kg di cibo sprecato annualmente per persona, dal valore economico complessivo in euro di quasi 16 miliardi annui, l’1% circa del Pil. Si tende a dare la colpa alla grande distribuzione, ma è invece l’ambito domestico a prevalere: incide, sempre in termini economici, tra il 60 e il 70% dello sperpero annuo nel nostro Paese, ma è così anche in Europa e sul resto del pianeta.
La Giornata nazionale del 5 febbraio contro lo spreco alimentare ha ricordato a tutti uno dei principali problemi ambientali e socio-economici che l’umanità si trova già oggi ad affrontare. Finora l’approccio per mitigare l’inquietante fenomeno si è concentrato unicamente alla fine della filiera, cioè sui “rifiuti” alimentari, producendo nel nostro paese risultati significativi grazie ad una legge – la n° 166 del 2016 – promossa dalla deputata varesina Maria Chiara Gadda che, tra le prime in Europa, contrasta il fenomeno incentivando e promuovendo il più possibile il dono, la trasformazione e la redistribuzione delle eccedenze (non solo alimentari). La legge prevede semplificazione normativa e burocratica, agevolazioni e sconti sulla tassa dei rifiuti per chi dona, recupero di eccedenze agricole e l’uso dei “family bag” contenitori per portarsi a casa quanto non consumato al ristorante.
Nella giornata nazionale, un contributo significativo lo ha fornito L’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale ISPRA che ha scavato a fondo nella tematica, presentando uno studio che, dopo aver indagato i processi propri dei sistemi alimentari, intende suggerire le linee guida per operare una “prevenzione strutturale” del fenomeno.
Analizzando nel dettaglio le cause e i condizionamenti lungo le filiere, emerge dal Rapporto che in quelle corte, locali e biologiche (vendita in azienda, mercati e negozi degli agricoltori) lo spreco è mediamente 3 volte inferiore a quello dei sistemi convenzionali. Nel caso di reti alimentari ancor più capillari, su base ecologica, locale, solidale e di piccola scala, lo spreco arriva a essere circa 8 volte inferiore. Per prevenire il fenomeno è necessario, quindi, incentivare le produzioni agroecologiche che forniscono più nutrienti e risultano più durevoli, quelle dell’agricoltura contadina connessa ai mercati del territorio, delle reti solidali e delle cooperative tra produttori e consumatori.
Il Rapporto Ispra mostra anche che le soluzioni del problema richiedono un approccio piuttosto complesso: pianificazione di modelli sostenibili di produzione, distribuzione e consumo; acquisti pubblici verdi; politiche alimentari locali sistemiche e partecipate; educazione alimentare e nutrizionale. Giocano un ruolo importante anche interventi di supporto alle reti alimentari locali, di piccola scala, ecologiche e solidali, tutela dell’agricoltura contadina e accesso alla terra, agroecologia in aree rurali e naturali, valorizzazione dell’agrobiodiversità.
Serve l’occhio pubblico attento ad accompagnare lo sviluppo dell’agricoltura sociale, urbana e in aree soggette ad abbandono, rigore nel contrasto agli illeciti, senza trascurare approfondimenti delle ricerche in campo e tendere a conquistare un ruolo attivo dei cittadini e della rete nell’attivazione di piani di economia circolare.
Vanno comunque segnalati alcuni fenomeni positivi. Diversi Paesi e grandi aziende alimentari hanno fissato obiettivi specifici di prevenzione e riduzione dello spreco; risulta in aumento la diffusione dei sistemi alimentari locali, ecologici, solidali e di piccola scala. Nonostante gli ultimi dati della FAO indichino uno spreco compreso tra il 40% nel mondo e il 60% in Italia, l’auspicio è che l’impegno dei produttori e la sensibilizzazione dei cittadini contribuiscano a centrare l’obiettivo dell’Agenda 2030: dimezzare entro questa data la perdita e lo spreco di cibo nel mondo.
Giova ricordare che se fossero recuperati gli attuali sprechi, si potrebbero abbondantemente sfamare dagli ottocento milioni ai due miliardi di persone che ancora si trovano in una situazione più o meno grave di denutrizione.
