Marcello Coleman presenta Pòmmch’, l’album che celebra 35 anni di attività
Ci siamo, è uscito il nuovo disco di Marcello Coleman, Pommch’, che celebra i suoi 35 anni di attività artistica. Il disco è un ottimo lavoro, una bella prova di maturità per Coleman che segna una tappa fondamentale nella propria storia personale e professionale.
Ho incontrato Marcello qualche settimana fa. Ci eravamo già incrociati anni addietro in occasione di alcuni concerti degli Almamegretta, ma non ho mai avuto occasione di parlarci. Ho scoperto durante il nostro incontro che è una bellissima persona, con una spiccata dose di empatia e una naturale capacità di coinvolgere emotivamente chi gli sta di fronte, anche quando racconta della sua rabbia e delle sue delusioni. Questo è quello che mi ha raccontato:
Perché sei andato via da Napoli e ti sei trasferito a Bruxelles?
Napoli è la mia città e quindi con lei c’è sempre stata una storia d’amore artistica, ma ora questa storia d’amore la considero conclusa. E per una storia d’amore che si chiude ce n’è un’altra che si apre… a Bruxelles, dove vivo da 4 anni ormai. Per certi versi Napoli mi ha, diciamo, sollecitato ad andare via. Ho avuto delle divergenze di vedute con molti di quelli che consideravo amici e con i quali facevo musica, ma qualcosa s’è rotto purtroppo. Diciamo pure che sentivo forte il bisogno di allontanarmi perché molte situazioni non mi davano più alcuna soddisfazione e sentivo di non crescere più ed essermi fermato come musicista e come artista. Tutto intorno a me sembrava ristagnare. Avevo la sensazione che dopo 35 anni di attività con importanti nomi della scena musicale napoletana (De Piscopo, Esposito, Senese, Avitabile, Arbore, Almamegretta n.d.r), mi sembrava tutto uguale. Mentre dentro di me cresceva forte il bisogno di un importante cambiamento.
A Bruxelles cosa hai trovato?
Una città non bella come Napoli, ovviamente, ma molto meglio organizzata, e questo ti rende la vita più facile. Artisticamente ho incontrato molte persone di etnia diversa e questo è un risorsa importante per un musicista. Per me è un grandissimo valore aggiunto, e quando ho conosciuto Andrea Clanetti, un giovane illustratore veneto che vive a Bruxelles da nove anni, un grande appassionato di Totò, c’è stata subito intesa e la collaborazione, tra un napoletano e un veneto, ha dato bellissimi frutti. Sono sue infatti le belle tavole che illustrano la storia di Pommcenella e che trovi nel CD.
L’ultimo disco è un disco più maturo rispetto ai tuoi precedenti lavori. Sei d’accordo?
Intanto ti dico subito che questo disco è stato scritto e suonato per dimostrare prima di tutto a me stesso che potevo realizzare il lavoro che avevo in testa da tempo, totalmente da solo. In questo senso si, è un disco più maturo perché artisticamente sono maturato. Sai quella esigenza di cambiamento di cui ti dicevo prima? Sono sempre stato un musicista che ha lavorato con gli altri e per gli altri, ma negli ultimi tempi avevo bisogno di verificare che da solo potevo fare quello che volevo, e credo di esserci riuscito.
E dal vivo come sei organizzato?
Nel disco suono la gran parte degli strumenti, ovviamente c’è il contributo anche di altri musicisti. Dal vivo invece ho un band composta da tre giovani elementi. Mi piace molto dare spazio ai giovani musicisti. Qualche volta si aggiunge anche una voce femminile. Non sempre però.
Le lunghe collaborazione con importanti artisti ti hanno lasciato qualcosa?
È inutile negarlo, con alcuni di loro ho fatto una vera e proprio gavetta, come era giusto che fosse e ho fatto tesoro di questa gavetta. Ma ho anche capito che non sarei diventato come alcuni di loro, ma non per mia incapacità, piuttosto perché loro condividono poco e quindi trasmettono poco. A loro credo di aver dato non solo la mia disponibilità ma anche soluzioni con il mio canto. Alla fine sono giunto alla conclusione che per crescere avrei dovuto fare da solo, studiare ed esercitarmi costantemente, abituarmi a montare e smontare uno spettacolo.
Dunque questo disco, Pòmmch’, è il frutto della tua capacità di fare da solo. Diciamo la conferma che ti senti artisticamente più autonomo?
Esatto e nel disco il brano che descrive chiaramente la mia attuale consapevolezza è “P’ cùnt’ re’ mije”. Devo dire che ho lavorato moltissimo su me stesso. Ho lavorato, ho studiato con continuità, mi sono messo alla prova e questo disco, che celebra 35 anni di attività ne è la conferma.
Parlami di questa figura immaginaria che ti sei inventato, Pommcenella, appunto. Una figura che somiglia al più noto Pulcinella, ma anche una figura che somiglia a Marcello Coleman. Giusto?
Tutto è nato da una teoria basata su una collaborazione fra la Oxford University e la University of Western Australia che ha prodotto una ricerca i cui risultati, pubblicati su Astrobiology suggeriscono che l’apparizione della vita sul nostro pianeta potrebbe essere stata favorita dalle particolari caratteristiche della pietra pomice. Dunque la mia fantasia ha immaginato questo gigante, Pommcenella, che con un pò di polvere di pomice crea il Vesuvio, con una “pisciatina” crea il mare e insieme a loro crea anche tutta la napoletanità che conosciamo. Ciò nonostante quello che ha creato in realtà è anche il suo stesso limite e quindi ci ritroviamo una città bella ma difficile, il mare che potrebbe essere meraviglioso ma è quello che è e una terra ormai devastata. Queste cose le canto e per questo sono stato anche molto criticato, ma per me è la realtà, è quello che vedono i miei occhi. Posso dire di non essere un uomo di fede, ma la mia spiritualità non mi permette di accettare questa situazione e per queste sono andato via. E per questo sono arrabbiato.
Padre americano e madre napoletana, dunque padronanza totale di due lingue importanti, ma quale senti più tua?
Non saprei dirti. Fondamentalmente l’utilizzo dell’una o dell’altra lingua per me è uguale. Anche se mi capita, qualche volta, di sentire il bisogno di allontanarmi dalla mia napoletanità. Ma ovviamente non la rinnego, è solo che la troppa napoletanità a volte sembra frenare la mia crescita quasi come se mi tenesse prigioniero dentro il suo territorio e mi impedisca di andare oltre.
Come è entrato il reggae nella tua vita?
Io sono nato nel 1964 e come tanti ragazzi di quella generazione ascoltavo Crosby,Still,Nash&Young, Pink Floyd, Deep Purple, e poi Stevie Wonder, Anita Baker, e poi sono passato alla fusion. Ma un giorno mi capita di vedere Bob Marley in TV e resto colpito da quest’uomo che con due accordi, tre parole e tanto pathos fa cose incredibili. Insomma Marley mi ha risolto una infinità di problemi.
Ma nel tuo lavoro io vedo anche altro, non solo reggae.
Certamente c’è il funky, il soul, il r&B e vengono prepotentemente a galla e poi magicamente si mischiano con il reggae. Pensa, al mattino studio per tre ore la chitarra, poi un’ora di francese, e se non sono in giro per concerti, sto davanti alla mia strumentazione a comporre. Lì avviene l’alchimia e viene fuori il sound di Marcello Coleman. Forse è anche merito del mio sangue misto, che mi dà una marcia in più e mi rende quello che sono oggi, una persona diversa da quella di alcuni anni fa.
Prima di salutarci, qualcosa sul prossimo disco?
Si, c’è Black Beautiful, è il disco che avrebbe dovuto vedere la luce prima di Pòmmch’. Ci sto lavorando anche con un nuovo spirito creativo.
Grazie Marcello è stata una bella chiacchierata.
Nicola Olivieri
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