Cambiamenti climatici: la resilienza ci salverà ?
Dal summit di Parigi alla vita quotidiana: nuove strategie di sopravvivenza
“Resilienza”, chi era costei? E’ la legittima domanda che si pongono molti cittadini dopo aver letto i resoconti della recente Conferenza sul clima, di Parigi. I rappresentanti dei 190 paesi presenti all’evento hanno evocato i cambiamenti climatici e discusso le misure da prendere per contenerne gli effetti dannosi per l’umanità.
Gli scienziati sono sostanzialmente d’accordo nel ritenere che bisogna impedire un aumento di oltre due gradi centigradi della temperatura del pianeta. Oltrepassando questa soglia si entrerebbe in una dinamica catastrofica probabilmente irreversibile.
Finora la parola d’ordine era (ed è) “sostenibilità”, temine adottato per indicare la necessità di non consumare le risorse naturali del pianeta più rapidamente di quanto la Terra sia in grado di rigenerare.
A Parigi si è fatto strada il concetto di resilienza, la nuova frontiera delle discipline ambientali.
E’un termine già usato nella scienza dei materiali, in psicologia, in biologia, in informatica.
Nei diversi campi d’impiego del termine, la resilienza è riassumibile come capacità di un individuo o di un sistema di resistere e riprendersi in modo accettabile dopo uno stress.
In ingegneria la resilienza indica la proprietà che alcuni materiali hanno di riacquistare la forma originaria o conservare la struttura dopo esser stati sottoposti a schiacciamento o deformazione.
In psicologia è la capacità di far fronte agli eventi traumatici, di riorganizzare positivamente la propria vita dinanzi alle difficoltà.
In biologia la resilienza è la capacità di organismi, come per esempio i molluschi, di autoripararsi dopo un danno.
In informatica, con il termine resilienza si indica la capacità di un sistema di adattarsi alle condizioni d’uso e di resistere all’usura in modo da garantire la disponibilità dei servizi erogati.
In ecologia, il termine introdotto fin dagli anni ’70, ma applicato solo a specifici settori, sta ora suscitando interesse crescente. Perché?
Partiamo con il dire che i sistemi naturali – entro certi limiti – sono dotati di alta resilienza, cioè della capacità di modificarsi autonomamente per far fronte ai mutamenti ambientali: gli alberi resistono, il tessuto delle loro radici frena valanghe e siccità, le piante rinascono, gli animali ripopolano le aree; la vita – anche dopo stress, eventi traumatici o disastrosi – si rigenera.
Al contrario, i luoghi artificiali, edificati, altamente antropizzati, hanno una capacità molto ridotta sia di resistere agli shock ambientali (ondate di caldo, inondazioni, eventi meteo estremi) sia di recuperare dopo i danni. Cioè, dopo un uragano o un incendio, i luoghi artificiali rimangono danneggiati. Significa che hanno una bassa, scarsa o addirittura nulla resilienza. Ciò implica che la resilienza dei sistemi urbani non può essere trascurata, ma deve in qualche modo essere studiata e assicurata con strumenti che ne garantiscano il mantenimento o il miglioramento.
Si fa strada quindi un concetto più innovativo di governo del territorio nel quale siano previsti piani di adattamento climatico, specifica azione amministrativa, impiego di risorse e, soprattutto, coinvolgimento dei cittadini.
Per questo, dopo il summit di Parigi, gli esperti e le istituzioni saranno al lavoro per definire i modi per aumentare la resilienza degli ambienti in cui viviamo. Si parla di città più verdi, di riciclo, di governo delle acque meteoriche, di aumento del suolo urbano non impermeabilizzato e così via.
Cosa può fare a sua volta il cittadino che voglia acquisire il “titolo” di resiliente? Può imparare ad autoprodursi molte delle cose di cui ha bisogno per vivere. Curare un orto sul balcone, nel giardino di casa, su un proprio pezzo di terra o messo a disposizione gratuitamente dal proprio Comune. Acquistare prodotti bio a km. zero per evitare i lunghi viaggi di frutta e verdura prodotte lontano, magari con pesticidi incontrollati. Lo stesso dicasi per i prodotti per la pulizia della casa, bandendo quelli contenenti derivati di petrolio e facendo a meno, quando non indispensabili, degli imballaggi. Una comunità resiliente si forma e si sviluppa quando non dimentica storia, cultura e valori del territorio, si riappropria di gesti, saperi e abitudini che consentano di dare il giusto valore ai beni allungandone la vita con lo scambio, la riparazione, il contributo di esperienza del vicino di casa o di quartiere.
Meglio ancora se supportati, sostenuti e incentivati da Municipi sostenibili, i cui amministratori si sentano a loro volta parte di una comunità virtuosa, con una visione alta del futuro da mantenere mettendo la conservazione della natura e della sua biodiversità al centro di ogni interesse. Governanti, istituzioni e cittadini sono anche avvertiti che il tempo stringe e i provvedimenti conviene siano focalizzati e adottati con sollecitudine.
